Americo Sozio partì il 18 luglio 1956 dal porto di Napoli con il transatlantico Andrea Doria. A bordo fece amicizia con un corregionale di Sant’Angelo del Pesco che gli volle regalare un pacchetto di sigarette. Non voleva accettarlo perché da anni non fumava ma l’amico gli disse con tono perentorio: «Quando un americano ti offre qualcosa, anche se non ti serve, devi accettarlo!». E così per giorni quel pacchetto di sigarette fu sul comodino vicino al suo letto nella cabina che divideva con altri tre compagni. Mai avrebbe immaginato che quel pacchetto sarebbe stato il primo elemento di una serie di avvenimenti che gli avrebbero salvato la vita!
Il 25 luglio una fitta nebbia avvolse l’Andrea Doria che a intervalli azionava la potente sirena. La sera c’era a bordo una festa di gala e Americo alle ore 22 scese nella cabina, si mise in pigiama e, prima di coricarsi, gli venne voglia di fumare una sigaretta. Salì sul ponte e il suono cupo della sirena di bordo lo distrasse per un momento. Non fece in tempo ad accendere la sigaretta che un enorme boato scosse la nave: non si rese conto di cosa fosse successo e cercò di tornare nella cabina. A metà scala restò attonito di fronte a un enorme squarcio, a un mare di acqua e olio, al panico, alle grida, alle richieste d’aiuto. Solo allora capì che l’Andrea Doria era stata speronata esattamente dov’era la sua cabina.
La nave s’era già inclinata, dette una mano a un signore con moglie e bambina a salire le scale già allagate e, mentre scappava verso il ponte superiore, fu colpito a una spalla da un crocifisso che raccolse e infilò nella cinta del pigiama. Sul ponte si trovò in un inferno: la nave s’era inclinata e quasi tutti i passeggeri stavano aggrappati al parapetto. Nella calca cercò un appiglio ma materialmente non c’era lo spazio per tutti. Allora, sedere per terra, scivolò verso il basso e cercò di attutire in parte la caduta contro il parapetto. Ricevette un forte colpo in faccia, sul braccio e sulla spalla sinistri. Si accorse subito che gli mancavano due denti ma che non aveva ossa rotte: una catena di ferro poi lo colpì sulle gambe procurandogli alcune ferite.
Non stava granché bene ma almeno era in piedi anche se non aveva il salvagente. Altri meno fortunati di lui rotolavano rovinosamente e l’impatto con il parapetto era tragico. Il comandante, tramite l’altoparlante cercava di rassicurare i passeggeri: ripeteva che i soccorsi stavano per arrivare, che tutti avrebbero ricevuto l’aiuto che speravano. Americo si affidò alla preghiera, pensò ai debiti che aveva dovuto contrarre per acquistare il biglietto e il necessario per partire e sperò che i suoi figli non restassero orfani come era successo a lui quando aveva appena 6 anni. Improvvisamente si trovò tra i piedi un fagotto, lo prese e si accorse che era una bimba di pochi mesi. Se la mise sottobraccio e, dopo lunghe tre ore, arrivò in soccorso una nave francese, l’Ile de France.
All’avvicinarsi delle scialuppe di salvataggio c’era chi si buttava in acqua e chi tentava di scendere attraverso delle funi. Molti tentavano di salire sulle scialuppe quando già erano piene e venivano respinti dai marinai perché più di 40 persone non potevano trasportare: restavano in acqua in attesa, alcuni affogavano altri erano allontanati dalla nave dalla corrente e sparivano nella nebbia. Con un braccio solo e senza salvagente per brevi istanti pensò di salvarsi abbandonando la bimba. Non ebbe il coraggio di farlo e restò lì con una donna anziana e una ragazza. Nel frattempo la nave continuava a inclinarsi e l’acqua era arrivata fin quasi al parapetto.
Fu allora che due marinai dal ponte della prima classe li videro e gli dissero di non muoversi perché li avrebbero aiutati. Poco dopo uno dei due scese e li portò verso le scale. Una porta sbarrò il loro cammino verso il ponte della prima classe.
Il marinaio nella fretta s’era dimenticato di togliere la sicura e di nuovo il panico e la rassegnazione li prese. Come in una fiaba, arrivò l’altro marinaio che non vedendo tornare l’amico si preoccupò e finalmente aprì quella porta. Sul ponte erano rimaste poche persone tra cui il sindaco di Philadelphia, la moglie e la figlia sedicenne. Gli dettero i salvagente e gli consigliarono di scendere in acqua tramite la scaletta di corda ma Americo, temendo di fare la fine di quelli che si erano buttati in acqua e nella nebbia non furono soccorsi, chiese e ottenne che i marinai legassero tutti i salvagente tra loro e l’altro capo della corda alla fine della scaletta e così fecero. Furono gli ultimi passeggeri ad essere trasportati sulla nave francese. Si salvò; sull’Ile de France, ricevette le prime cure, la bimba fu ritrovata dai genitori e la mattina seguente assistette all’affondamento dell’Andrea Doria. A New York, allo sbarco, Antonio Mastrofrancesco, fratello della madre lo accolse: era ancora in pigiama, con una sola pantofola, la faccia gonfia, due denti rotti e numerose ferite e contusioni.
Domenico Di Nucci
Fonte: AA.VV., A la Mèrɘca. Storie degli emigranti capracottesi nel Nuovo Mondo, Amici di Capracotta, Cicchetti Industrie Grafiche Srl, Isernia, 2017