Festa della Madonna di Loreto (2008). Foto: Paolo Dell’Armi
Diverso tempo fa mi vantavo di dire, sebbene fossi uno dei tanti “capracottesi erranti”, che non ero mai mancato alla festa triennale dell’Otto Settembre; ora, purtroppo, ci siamo un po’ dovuti abituare alla sua sospensione e temo che per me, dopo il Covid, si aggiungano altre e ben più gravi motivazioni di impedimento: speriamo non sia davvero così (?).
In ogni caso sono ancora certo che nell’animo di tutti i concittadini, non solo in quello dei più anziani, affiorino tantissimi ricordi legati a questa, bellissima ricorrenza che ho denominato “il Capodanno di Capracotta”; così, rispettando anch’io questa regola, ripensavo in questi giorni all’Otto Settembre di ben 62 anni fa: quello del 1960.
Avevo solo 17 anni ed era la prima volta che non avevo la mia famiglia accanto a me dopo che, l’anno precedente, era cominciato il mio “esilio” con il sofferto trasferimento a Bojano; non ricordo il motivo per cui nemmeno papà era a Capracotta e perciò ero ospite dei cari zii Enrico e Michela; così, il 7 Settembre, ero davvero felicissimo di aver rivisto, girando in ogni angolo del paese, i gruppi di persone e le famiglie intere che si dedicavano alla bardatura dei cavalli per la processione vespertina della vigilia.
Mi ero poi seduto sulla panchina di pietra davanti a casa e già mi rattristava l’idea di poter restare a Capracotta solo pochi giorni: posso ora confessare che il mio pensiero di adolescente era anche rivolto alla ragazza che sarebbe poi diventata la compagna di tutta la mia vita, Anna; mi auguravo infatti, pur non sapendo ancora se anche lei fosse tornata in paese, di incrociare il suo sguardo scrutando a lungo la finestra di sua nonna, in alto di fronte a me, da cui speravo si affacciasse.
Restai perciò sorpreso di vedermi accanto, d’improvviso, un caro amico di famiglia e nostro vicino di casa, il compianto signor Arcangelo Sozio, grandissimo lavoratore della campagna e persona molto schiva; mi alzai di scatto per salutarlo affettuosamente, quasi temendo che fosse riuscito a leggere nei miei, più reconditi, pensieri, ma restai molto sorpreso delle sue parole.
Mi rivolse infatti l’invito, del tutto inatteso, di accompagnarlo alla processione cavalcando io la sua giumenta: era già in corso infatti, nei pressi della stalla, la complicata operazione di bardatura alla cui conclusione fui felicissimo di contribuire: non senza un attimo di perplessità e di comprensibile esitazione; da bambino, infatti, ero un po’ abituato ad andare a cavallo con lo zio Antonio, ma non avevo poi avuto modo di continuare a farlo.
È superfluo sottolineare che nel 1960 erano ancora tantissime le famiglie che disponevano almeno di una cavalcatura e c’era comunque molta dimestichezza con questi splendidi animali: che, in anni più recenti, è stato purtroppo necessario reclutare anche dai moderni maneggi della zona.
Allora il caro Arcangelo, quasi leggendomi di nuovo nel pensiero, si affrettò a rassicurami dimostrandomi quanto fosse mansueta la sua cavalla; ebbi solo lo scrupolo di informare la zia Michela del mio imprevisto impegno e cominciò la mia incredibile vigilia dell’Otto Settembre: l’unica, in verità, che mi abbia mai visto onorare così bene la tradizione; tutto poi secondo copione in una splendida e mite serata con il classico cielo azzurrissimo, all’imbrunire, come il mantello stellato della Vergine Maria e con un lunghissimo corteo di cavalli, uno più bello dell’altro.
Ho ancora oggi la straordinaria impressione di rivivere quell’ attesa, oltre il Santuario, prima che la venerata statua della Madonna venisse portata fuori dalla Chiesa: non senza qualche manifestazione di nervosismo di alcuni cavalli, un po’ spaventati dal rumore dei fuochi artificiali, ma subito rabboniti da esperti palafrenieri; tra di essi, il meno impegnato fu certamente il caro Arcangelo e, sarò esagerato, ma nessuno come me aveva mai accarezzato così a lungo e così dolcemente la criniera della sua giumenta: un bellissimo e giovane animale con un mantello dai riflessi che le luci artificiali rendevano quasi dorati.
Nulla di particolare poi fino a quando, come tutti sanno i cavalli, tranne i pochi con i gonfaloni di rappresentanza, concludono il loro percorso nei pressi della Chiesa di sant’Antonio; e sorvolo sulla mia indicibile commozione che riuscivo a stento a dissimulare accompagnandomi alle Preghiere. ma non mi vergogno di confessare che, sebbene così giovane, trattenevo a stento le lacrime.
Stavo poi pensando a come avrei potuto esprimere tutta la mia gratitudine al caro Arcangelo quando, di nuovo, ebbi un’altra grande emozione: tra i tanti infatti, cui non avevo fatto attenzione prima, notai che si stava allontanando anche il babbo di Anna, il mio futuro suocero Emilio; cavalcava un magnifico cavallo scuro e così non fu casuale che, finalmente, a farmi concludere gioiosamente la serata, fossero anche lo sguardo e i saluti che riuscii a scambiare con Anna: davvero sorpresa, anche lei, di rivedermi a Capracotta e… addirittura a cavallo.
Come sempre ora, a conclusione di questo mio, particolarissimo ricordo dell’Otto Settembre, il mio pensiero torna all’antichissimo inno popolare per la Vergine di Loreto che si canta soprattutto durante la processione centrale del giorno otto; sono convinto, anzi, che ne potrei ripetere a memoria le strofe ma, se pure volessi tentare di negarlo, restano queste le parole che più si addicono al mio stato d’animo di questi giorni:
“…e a Te corre da lontano il nostalgico pensiero”.
Sono certo che siano ancora tantissimi i concittadini che le condividono:
“Buon Otto Settembre”, anzi “Buon Anno” a tutti e che la Madonna ci protegga, perdonandoci se…siamo lontani.
Aldo Trotta