La lapide funeraria di Mons. Giandomenico Falconi apposta dai congiunti nella Chiesa Madre di Capracotta
Nel 1857, il nobile e ricco Carlo Pisacane (il giovine dagli occhi azzurri e dai capelli d’oro della “Spigolatrice di Sapri”) sbarcò a Sapri per sollevare le Calabrie.
Non è provato se, fra gli organizzatori della spedizione, vi fosse il nostro Curzio, esule e ramingo, che avrebbe sconsigliato l’intempestivo tentativo rivoluzionario. Invece è sicuro che il nostro vescovo Falconi riuscì ad ottenere, da Ferdinando II, clemenza per gli scampati: perciò la sua fama di buon prelato, varcò i confini di Acquaviva. Due anni dopo, e precisamente la sera del 12 gennaio 1859, ricevette il re e la corte con tutti gli onori e le cerimonie possibili.
Ma chi era questo Giandomenico Falconi?
Nacque a Capracotta, provincia di Isernia, il 4 agosto 1810. Per alcuni anni fu segretario dell’Arcivescovo Clary a Bari. Rivendicò la palatinità della chiesa di Acquaviva ed Altamura ed ebbe il titolo di arciprete mitrato e giurisdizione episcopale. Questo beneficio gli fruttava 6.000 ducati l’anno. Era fratello del Procuratore Generale Falconi e zio del Deputato e Sottosegretario di Stato per la Giustizia.
Tanta fiducia riponeva in lui Ferdinando II che volle pernottare ad Acquaviva ad ogni costo nel palazzo dell’arciprete, non in quello che fu di Casa de Mari. La mattina del 13 gennaio 1859, il re Ferdinando II uscì dal palazzo vescovile e si recò in cattedrale acclamato da una folla festante. La Corte era venuta in Puglia perché doveva sbarcare a Manfredonia Sofia di Baviera, fidanzata dell’erede Francesco. Le nozze furono celebrate a Bari il 3 febbraio 1859. Nel cortile del nostro palazzo vescovile c’è una lapide che ricorda la sosta del Borbone- al quale la cittadinanza aveva gridato fedeltà, gratitudine, amore- orchestrata da Mons. Falconi.
Direttore supremo delle feste e scrittore delle epigrafi, Monsignor Falconi era sontuoso in tutto: nello stile, nelle immagini, nei convivi, nelle abitudini. Abbracciò la carriera ecclesiastica in cui si distinse per il suo attaccamento politico, più che sacerdotale. Prima di venire ad Acquaviva, in qualità di arciprete, fu alle dipendenze del vescovo di Molfetta, poi di Terlizzi.
Alto e vigoroso nella persona, era un uomo competo di vizi e di virtù. Dopo aver ottenuto la conferma della palatinità della chiesa, la fece abbellire di stucchi e oro zecchino, dalla cripta all’abside, e di lussuosi altari in marmo.
Amante del fasto, fece rimuovere quadri e statue di arte bizantina, che non erano di suo gusto, e mandò ad ornare altre chiese. Con la caduta della monarchia, alla quale Mons. Falconi doveva la sua alta carica, fu osteggiato dai liberali e si ritrovò, pertanto, il popolo di Acquaviva ostile e minaccioso.
Scappò da Acquaviva e si rifugiò ad Altamura. Da questa sede scappò ancora rientrando di notte a Capracotta dove morì il 25 dicembre 1862. Ebbe sepoltura nella Chiesa Madre.
Molti anni sono passati dal 1862. E gli Acquavivesi lo ricordano per… il pallone. Era l’11 aprile 1848. Un gruppo di acquavivesi con Mons. Falconi partì per Napoli, e poi per Roma, per far riconoscere la palatinità della chiesa di Acquaviva. A Napoli, Mons. Falconi incontrò un artigiano: Giovanni Squicciarini che aveva una fersa per la costruzione di un grande pallone mongolfiera. Desideroso di festeggiare la sua nomina con il lancio di un pallone gigante, Mons. Falconi propose al giovane di trasferirsi ad Acquaviva. Il giovane accettò volentieri e si trasferì ad Acquaviva. Costruì il pallone gigante che fu lanciato martedì 5 settembre 1848. Da quella data, ogni primo martedì di settembre, viene lanciata la mongolfiera in onore della Madonna di Costantinopoli. Nessuna modifica è stata apportata al pallone originale.
Nel corso degli anni, si sono avvicendate molte persone per il lancio del pallone. Attualmente, proprietario della fersa, è Marco D’Alò che ogni anno provvede alla costruzione e al lancio.
Prof. Giuseppe Tangorra
Acquaviva delle Fonti (Ba)