Costume tradizionale femminile di Capracotta, sec. XIX, Fitzwilliam Museum, Cambridge, Regno Unito
La lettura del testo di G. Zarrilli (CB 1926-1969) “Il Molise dal 1789 al ‘900”- ed. Il Rinoceronte- ristampa 1984, mi ha introdotto, in particolare, nel campo della condizione civile degli abitanti di Capracotta e del suo Circondario nel 1811. È un corollario alla ricerca ordinata da Gioacchino Murat all’epoca della dominazione francese. Indagine storicamente nota mediante la quale si volle conoscere la realtà sociale e civile presente anche nell’estremo lembo del Regno delle Due Sicilie, nel Contado di Molise.
Furono trasmesse relative notizie al Ministero degli Interni, a Napoli, dal compaesano dott. Diego di Ciò il 4/ 1 / 1812 in merito all’acqua, al cibo, ai “vestimenta”, alle abitazioni, alle cause dell’insalubrità dell’aria, alle occasioni di nocumenti alla pubblica salute e alle patologie presenti nella nostra comunità.
Tale ricerca fu estesa a tutti i Comuni raggruppati nel Circondario e Capracotta, allora, era al centro di una realtà geografica comprendente Vastogirardi, Pescopennataro, Castel del Giudice e Sant’Angelo del Pesco.
Di tali Comuni, l’Autore del volume consultato, quale ex Direttore dell’Archivio di Stato di Campobasso, verificando e commentando vari documenti, ai quali aveva certamente facile e libero accesso, ci fa conoscere con dovizia di notizie, le condizioni civili allora esistenti in tali realtà.
Tale lettura, anche se non suffragata da censimenti della popolazione dell’epoca, rende nota quale fosse la strutturazione in ambito sociale della nostra Capracotta e dei paesi vicini. Analizzando i dati che si riportano, si può rilevare che da noi il numero dei possidenti era di 430 unità, nettamente superiore a quello dei Comuni confinanti (267, 177, 163 e 127): ciò in rapporto a maggiori acquisti di appezzamenti agricoli, anche se di piccole dimensioni, da parte di contadini e venduti da proprietari terrieri “galantuomini”, borghesi e danarosi. Realtà agricola parcellizzata con scarsi frutti e notevole dispendio di energia.
Avevamo 15 preti, numero maggiore rispetto ai 9, 6, 3 e 2 dei nostri vicini.
Per quanto sappiamo, i cospicui beni ricadenti nella chiesa di Santa Maria di Loreto potevano, forse, costituire un richiamo da parte di giovani ad indossare abiti talari. In una società povera, far abbracciare ai figli tale indirizzo, significava per i genitori prevedere” una vita più serena”, a parte le inclinazioni morali e personali dei possibili predestinati.
Nella nostra comunità è riportato un solo frate e parimenti, in egual numero, soltanto presente a Vastogirardi, assente altrove.
Probabilmente un’antica presenza francescana a Capracotta è da collegarsi ad un’abitazione sita in Via San Giovanni 60 che sarebbe stata costruita dalla famiglia Baccari e passata poi, nel’800, ai ricchi Mosca. Un trigramma cristiano IHS, racchiuso in un grosso cerchio, scolpito sul camino, in una grossa stanza, forse refettorio e ancor più, nel sottotetto, un forno in pietra e mattoni, può far ipotizzare quanto espresso.
In merito la tradizione orale da parte di antichi proprietari dello stabile riferiva che in quel forno si cuocevano confetti che i monaci distribuivano nelle loro visite. L’ipotesi può, forse, essere avvalorata ancora da quanto si legge a pag. 42 del testo “Gli accordi militari del 1495 di Agnone, Capracotta e Vastogirardi” di D. Di Nucci, F. Di Rienzo, C. Iannone, F. Valente- ed. 2018.
In esso è riportato che “Donatus Baccarius nel 1546 edificava a proprie spese, su un fondo della propria famiglia, un cenobio francescano”.
Il numero dei nostri contadini – 563- risultava inferiore soltanto a quello di Sant’Angelo del Pesco- 618- ancora più basso negli altri paesi: 310, 107 e 27: forse a Sant’Angelo v’erano meno pastori e boscaioli rispetto a noi.
Circa i mendicanti da noi solamente 48, 444 a Vastogirardi, 34 a Pescopennataro, assenti a Castel del Giudice e a Sant’Angelo del Pesco
Numero di tale figura da collegare alla notevole miseria, a mancanza di lavoro o ad altre cause che non ci è dato di conoscere. Comunque la bassa incidenza presente a Capracotta configura un positivo indice di laboriosità, istinto connaturato alla nostra gente, insieme ad uno scarso numero di persone malate, handicappate o inabili e comunque condizioni generali presumibilmente migliori rispetto a quelle esistenti a Vastogirardi.
Per quanto riguarda gli impiegati e arti libere da noi sono presenti 9 unità, 3 a Vastogirardi, 3 a Sant’Angelo del Pesco, 4 a Castel del Giudice, Pescopennataro raggiunge 12 presenze.
Poca la consistenza degli intellettuali raggruppati sotto la voce impiegati, rappresentata dai figli di “galantuomini” danarosi che avevano avuta la possibilità di avviare i propri figli agli studi; poche le libere professioni (medici, avvocati), in particolare, con costanti contatti culturali con Napoli, ove questi professionisti molisani eccelsero
Gli artisti e i domestici, assenti a Sant’Angelo del Pesco, sono 157 a Castel del Giudice, 12 a Pescopennataro, 10 a Vastogirardi e solo 7 a Capracotta. prevalendo l’attività pastorale e forestale.
L’esiguo numero degli artigiani è la conseguenza della povertà, della scarsità di mezzi con botteghe modeste e scarso numero di apprendisti, ma costoro, rispetto a contadini, pastori e boscaioli, avevano, certamente. guadagni maggiori.
Pochi parimenti i domestici, chiamati alle dipendenze dall’esiguo numero dei benestanti esistenti con un salario forse molto modesto.
Un’amara fotografia della realtà sociale agli inizi dell’800, imperanti stenti, penosi lavori, scarsi guadagni, poco pane e, sull’altro versante, una “tenace volontà” di supremazia da parte di una borghesia terriera, divenuta proprietaria, dopo l’eversione feudale.
Contadini, pastori senza precise “idee di riforme e volontà di rinnovamento”, un clero dominante, spesso “ignorante e fanatico”, anch’esso latifondista.
Si svela con questa inchiesta, per la prima volta, il volto “desolante” di questa provincia, già dominata dai Borboni, governata dai Francesi fino al 1815 e ritornata sotto la stessa monarchia, con la restaurazione di Ferdinando IV, reduce dall’esilio della Sicilia: “Provincia negletta, povera, rozza, con un gran numero di contadini, analfabeti e poverissimi, una realtà senza strade, senza grandi città. senza alcuna industria”.
Felice dell’Armi