Marianne, simbolo della Rivoluzione francese, nel dipinto del pittore Ferdinand Victor Eugène Delacroix
La prima Donna capracottese che ha rotto il tradizionale ruolo di fattrice-eterna casalinga, anche se di una grande economia domestica, è una certa Cannatella. Questo non è il suo nome di battesimo né cognome. È un soprannome che quasi ad ogni donna o uomo viene affibbiato come un tatuaggio quasi indelebile.
Cannatella nel 1861 capeggiò la rivolta popolare in paese contro i liberali risorgimentali che avevano conquistato Capracotta all’ideale dell’Unità d’Italia. E guidò la sommossa e il corteo finale con in mano un fiasco di vino. Cannatella sta per Cannella che è uno dei modi di bere chiamato “alla cannella” cioè distanziando di qualche centimetro il fiasco dalla bocca aperta e dall’alto (i più bravi anche di oltre 10 centimetri) si faceva scendere a cascatella il vino direttamente in gola, piegando la testa all’indietro e senza interruzione. Insomma ci voleva una maestria che dava maggior gusto al vino.
Credo che ormai quasi più nessuno sappia bere così. Da piccolo quando mi capitava di assistere a una simile scena, spesso simbolo di piccola spavalderia o come sfida tra “maestri” si formavano dei capannelli come quelli attorno ai mangiafuoco: solo che questi tenevano in bocca petrolio e sputavano fuoco, questi invece bevevano vino in modo “divino” tra lo stupore, le risate, i commenti e le grida di esultanza.
Cannatella divenne per pochi mesi la “Marianne”, versione capracottese-molisana della Rivoluzione francese. La rivolta accadde perché i nuovi governanti, con la scusa del Regno unitario e la retorica del patriottismo, con le loro politiche aggravarono le condizioni delle masse meridionali e del popolo e così scattò l’insubordinazione. Negli scontri ci furono pochi o nessun morto. Ciò nonostante tutto finì con l’instaurazione del nuovo stato anche se poi iniziò il Brigantaggio.
Sulla vita di Cannatella c’è da fare ricerca perché non ho trovato fin ora altre informazioni. Comunque il dato sostanziale è che la rivolta fu capeggiata da una Donna e con un fiasco di vino, bevanda di quasi esclusivo uso maschile: chissà forse a significare che le masse e le donne in particolare non volevano solo il pane ma anche qualcosa di ludico e inebriante.
Ho letto questa storia in uno dei libri dell’amico Giannino Paglione nel cui archivio conserva tanti libri e libretti del nonno omonimo che era uno dei grandi intellettuali vissuto tra la seconda metà dell’Ottocento e gli anni quaranta del Novecento.
Antonio D’Andrea