Nevicata dello scorso 10 gennaio a Capracotta. Foto: Emilia Mendozzi
Gennaio è un mese freddo dappertutto, ma per Capracotta è addirittura spaventoso. Bisogna aver vissuto un pochino lassù di quei giorni per poterne avere un’idea! Fiocca a tutte l’ore e i giorni si succedono uniformi, monotoni, non differenti l’uno dall’altro che per il segno che ne dà il lunario.
La neve, alta parecchi metri, impedisce la comunicazione tra casa e case e, e non fosse per il tenue filo telegrafico, si perderebbe ogni comunicazione coi viventi. A volte, nel cuore del verno, le provviste sono esaurite ed allora incominciano le dolenti note. È ben per questo che da noi si aspetta la fine di gennaio con indicibile ansia e che, alla sera dell’ultimo giorno, una schiera di giovani, seguita da monelli, percorre il borgo, agitando de’ grossi campanacci e gridando a squarciagola:
«Vàttene, Iennare, Iennaróne/ sfascia catenare e cascióne»1
Oreste Conti
1) «Vàttene gennaio, gennaione, sfascia soffitta e cassone». Nella soffitta (catenare), le famiglie conservavano la legna da ardere.
Fonte: O. Conti, Letteratura Popolare Capracottese, 2ª edizione, Editore Luigi Pierro, Napoli, 1911