Aldo Trotta e la croce del nonno Carmine
Ogni giorno di più sperimento quanto è rasserenante, in fondo, tornare con la memoria al periodo degli anni infantili e giovanili nel succedersi di lucidissimi e vivaci ricordi; ciò che mi sorprende maggiormente è il fatto che il pensiero di una persona, di un oggetto o di un evento me ne suggerisca poi, quasi a cascata, un altro e poi un altro ancora.
E’ capitato anche in questi giorni quando ho provato a raccontare del lavoro agricolo che, tanti anni fa si svolgeva a Capracotta, in località “Orto Ianiro”, nei terreni appartenenti alla mia famiglia; è stato inevitabile che, parlando dell’impervio sentiero che bisognava percorrere, io ricordassi la splendida Croce di ferro battuto che mio nonno paterno Carmine vi aveva fatto collocare, in data 3 maggio 1925 come risulta dalla piccola targa ricordo. Si trova nella cosiddetta zona del “Précuoriɘ” (“Procoio”): che significa stazzo per le pecore”, forse un’antica struttura stabilmente presente accanto alla sorgente della “Fonte Fredda”; tuttora visibile, specie all’alba e al tramonto, anche dalle finestre della nostra casa, è stata e rimane tuttora un punto di riferimento e di sosta per chiunque si trovi a passare da quei viottoli.
Purtroppo non ho avuto la fortuna di conoscere il nonno Carmine e quindi non avevo mai saputo granché della sua iniziativa né, tanto meno, se ci fossero state ragioni precise per la scelta di quella data; molto superficialmente anzi, avevo sempre ritenuto che fosse del tutto casuale fino a quando, finalmente, ho avuto la curiosità di documentarmi e confesso di essere rimasto sorpreso per quanto ho scoperto.
Ignoravo che, fino agli anni ’60 e al pontificato di papa Giovanni XXIII°, fossero due i giorni di memoria liturgica dedicati alla santa Croce: rispettivamente il 3 maggio e il 14 settembre, e di esse io conoscevo solo quest’ultima; la prima festività, attualmente cancellata, corrispondeva storicamente al ritrovamento della Croce (Invenctio Sanctae Crucis) mentre la seconda, quella rimasta in calendario, è tuttora nota come Esaltazione della Santa Croce” (Exaltatio Sanctae Crucis).
Così, in un crescendo di emozioni, ho appreso dell’antichissima tradizione definita “Le Croci di Maggio” in cui per esempio, all’inizio del mese, i contadini romagnoli andavano a “a piantè al crosi” (a piantare le croci) e la stessa consuetudine era presente in diverse altre regioni italiane come la Toscana o le Marche.
Questo rito, con il suo codificato cerimoniale, era particolarmente diffuso nel mondo agricolo e rurale nel Nord Italia, tanto è vero che resta famosa l’espressione dialettale:
“Par Sânta Cròuś, furmèint spigòuś,
ossia “per Santa Croce, frumento con la spiga”;
non è verosimile che a Capracotta le spighe di grano fossero già alte in primavera, ma quella data non era certo fortuita per il nonno che, certamente conosceva la tradizione delle croci votive nei campi per implorare il buon esito delle coltivazioni: tanto più in una stagione a maggior rischio di grandine o di gelate tardive che potevano vanificare un intero anno di lavoro e di attesa.
Da quello che si legge, nella maggior parte dei territori sì trattava di croci rudimentali intagliate nel legno dagli stessi agricoltori e non destinate a durare nel tempo: di solito venivano abbellite con rami di ulivo benedetti nella domenica delle Palme e duravano fino al momento del raccolto ma, specialmente in alta collina o in montagna, ogni anno si riutilizzavano le stesse croci di ferro: cosa quanto mai problematica nel nostro territorio..
Così si comprende la decisione del nonno di collocare stabilmente una Croce votiva non proprio nei campi coltivati, ma lungo il sentiero da percorrere; assai più scontata, invece, la sua scelta dell’ artigiano cui affidarne la costruzione perché fu certamente il caro zio Michele Trotta (zi’ Chéle”),un vero artista del ferro battuto.
Molte persone, infatti, stentano a credere che quella Croce, situata in un punto da cui si scopre il meraviglioso panorama del paese, sia tuttora intatta, al suo posto dopo ben 98 anni! Cogliendo anzi l’occasione, mi piace accennare a un’altra delle diverse croci comprese nell’abitato di Capracotta e in particolare a quella antistante il Santuario della Madonna di Loreto: anch’essa in ferro battuto di antica fattura, ma con tutti i classici simboli della Passione di Gesù; l’usura del tempo o forse le intemperie avevano irreparabilmente danneggiato il famoso “galletto” che ricorda il pentimento di San Pietro per cui non è casuale che, nel dopoguerra, un altro artigiano del ceppo “Trotta”, Raffaele detto “Filuccio”, ne ricostruisse una pregevolissima copia tuttora esistente.
Come avevo pensato, tra le notizie che riguardano le cosiddette “Croci di Maggio”, non mancano i riferimenti storici o leggendari a tradizioni precedenti il cristianesimo certamente molto presenti, che io sappia, anche nel territorio sannitico di Capracotta: ad esempio per il culto di alcune divinità della terra; per inciso, mi dispiace molto che l’origine pagana di molti riti venga spesso strumentalizzata per mettere in cattiva luce lo spirito e gli stessi princìpi della Fede cattolica. Per fortuna sono forti le correnti di pensiero che si sforzano di rivalutare, in assoluto, il ruolo e l’importanza della cultura religiosa popolare, ma è innegabile una crescita preoccupante non solo e non tanto dell’ateismo, quanto e soprattutto dell’indifferenza assoluta.
Ho avuto sempre testimonianza del fatto che il nonno, oltre che molto laborioso, era una persona di grande generosità e bontà d’animo ed è un peccato che non abbia mai potuto averlo accanto a me; senza tuttavia che suoni come immeritato compiacimento da parte mia, mi lusingo di credere che avrebbe apprezzato questa mia tardiva, ma affettuosa “esaltazione della sua Croce”.
Ho ripensato ancora al doloroso e assurdo contrasto, nel mondo, tra la povertà dilagante e lo scandaloso spreco di risorse: a cominciare da quelle destinate alla guerra e agli armamenti; ragione di più, io credo, per inchinarsi alla sacralità del lavoro e del sudore di tante persone che, in anni non meno difficili, hanno assicurato il “pane quotidiano” alle loro famiglie.
Intanto, in questi giorni di quaresima che precedono la santa Pasqua, avranno maggiore risonanza interiore le pur semplici parole di un antico canto popolare:
“Ti saluto, o Croce santa,
che portasti il Redentor;
gloria, lode, onor ti canta
ogni lingua ed ogni cuor”
Mi piacerebbe tanto, è superfluo che lo dica, recitarle dalla finestra di casa a Capracotta e, ancor più di poterlo farlo inginocchiandomi di nuovo tra quelle pietre, ma so bene che non sarà possibile; nella stagione così avanzata della vita, mi conforta la speranza che non cesserà di illuminarmi la vecchia CROCE DEL NONNO CARMINE
Aldo Trotta