Finita la guerra, così aspra per la nostra famiglia, Marietta era ormai diventata una bella ragazza, con capelli neri raccolti in due trecce lunghe quasi fino alla vita. Aveva un corpo snello e un colorito olivastro − non bianco e rosso come spesso accade ai montanari − che le dava un tocco di ‘signorilità’. Piaceva il suo canto, aggraziato come quello di mamma, e aveva un buon carattere, socievole e accogliente.
Con le sue amiche andava dalle suore a imparare il ricamo. E quello era il luogo dove si divertivano raccontando storie anche un po’ spinte per vedere l’effetto che facevano sulle monache. L’ amicizia con tutto il gruppo delle ragazze degli anni ’30 è durata fino alla sua morte. Un giorno arrivò una lettera della sorella di mamma, Peppina, che invitava Marietta a raggiungerla a Sulmona, dove avrebbe trovato anche una cugina sua coetanea. Penso che zia Peppina volesse anche aiutare mamma, togliendole per un po’ il peso di una bocca da sfamare. Fu quello il primo viaggio di Marietta. E vai! Dai racconti che mi ha fatto, era eccitatissima e il suo soggiorno fu perfetto. Mangiava a sazietà, finalmente si sentiva spensierata e giovane. Vestiva abiti fatti da zia e insieme alla cugina andavano a ballare…ma sempre sotto lo sguardo vigile della zia, beninteso! Accadde così, come è naturale, che si invaghì di un bellissimo giovane dal quale fu, peraltro, ricambiata. La storia marciava sui binari di quei tempi: qualche bacio di sfuggita, mani intrecciate e parole per suggellare un amore per sempre.
Macché! Un’altra lettera − questa volta proveniente da Capracotta − ‘intimò’ a Marietta di tornare al più presto al paese: mamma Maria aveva urgente bisogno di lei. A malincuore salutò tutti e il suo fidanzatino, ma con la promessa di un sollecito ritorno. Arrivata a casa, vide mamma con un pancione davvero esplosivo, a dispetto dell’età di Maria, la quale pensava che fosse ormai troppo tardi. Capì che con Sulmona aveva chiuso, almeno per un bel pezzo. Si chiuse in un mutismo malinconico e un po’ rancoroso, che cominciò a stemperarsi solo con la mia nascita.
[…] Fu così che Marietta si sentì ancor più legata alla famiglia e costretta a rimanere a Capracotta. Io fui infatti affidata a lei, mentre mamma continuava a lavorare e a occuparsi della casa. Così, Marietta condivise con mamma il cordone ombelicale che l’aveva legata a me, e io per tutta la vita mi sono sentita − ricambiata − legata a doppio filo con quella sorella-madre. La situazione economica a casa era sempre precaria, ma mamma la rendeva accettabile. I figli crescevano, ed era lei a dover pensare al loro futuro. Così Marietta, dopo il primo amore di Sulmona, restò incantata da un giovane di Capracotta che studiava musica. Apriti cielo! Ma come, proprio con uno squattrinato? Come e quando potrà mai mantenere una famiglia? Maria, esasperata dalla sua vita difficile, non poteva tollerare la situazione e, ancora una volta, fu Marietta a dover abbandonare il suo nuovo sogno. Il giovane, ogni anno che si rivedevano a Capracotta, arrossiva: segno che quel suo amore aveva lasciato una traccia indelebile. Il tempo passava, e lei diventava sempre più bella e desiderabile. Aveva diversi corteggiatori, rimasti suoi amici: in estate, quando, da adulte, ci sedevamo davanti al portone di casa, lei mi indicava quegli ex giovani. Poi arrivò la svolta. Un signore gentile venne a chiedere la sua mano. Di famiglia capracottese, abitava da tempo in Puglia, a Lucera. La Puglia evocava clima caldo e possibilità di lavoro vero. In effetti, la famiglia Labbate stava bene e Vincenzo (per tutti Cinzitto) quando veniva a casa nostra, a me e a Emilia dava sempre qualche soldino, che noi non avevamo mai posseduto. Io, però, l’ebbi in antipatia subito perché, pur essendo piccola, intuivo che mi avrebbe portato via la mia sorella-madre. Il ricordo più nitido che serbo del dolore per la presenza di quel giovane − un estraneo, per me − è quello del giorno del matrimonio. Mi nascosi sotto al tavolo che stava vicino agli sposi, sul quale erano poggiati biscotti e rosolio. E lì rimasi per tutto il tempo, piangendo tutte le lacrime che avevo negli occhi, senza che nessuno se ne accorgesse. Solo Marietta, di tanto in tanto, chiedeva dove fossi. Quando partì per la Puglia, mi promise che l’avrei raggiunta.
Da Lucera mandava sempre qualcosa da mangiare per tutta la famiglia. A me, nel giorno del mio onomastico, mandava una cartolina illustrata, di quelle che ora non si usano più. Ne ricordo una con una bambina con le treccine e, accanto, un batuffolo di gatto. Mi piacque tanto, la conservai a lungo insieme con le altre e ancora me ne ricordo: mi bastava poco per sentirmi amata e serbare per sempre i simboli di questo sentimento! E, poi, c’era sempre qualche soldino per me, per i nastri ai capelli che mi piaceva portare… ma mamma li utilizzava per altre cose più necessarie.
Marietta mantenne la promessa: volle che a ogni primavera la raggiungessi a Lucera, per amore ma anche per farmi recuperare al calduccio un po’ di salute, date le mie continue bronchiti ‘capracottesi’. Sua figlia Annamaria, mia nipote − di soli pochi anni più piccola di me − divenne di fatto la mia nuova sorella. Una ‘sorellanza’ che dura ancora! A Lucera, con Marietta, la mia vita cambiava radicalmente, e non le sarò mai abbastanza grata per questo. Non mi mancava niente: mi comprava vestiti e conobbi i gelati al cioccolato, che furono una vera, gioiosa scoperta! Ed ero felice di averla sempre con me, pur rimpiangendo spesso l’assenza di mamma. Anche a Cinzitto mi affezionai tanto: era proprio una persona buona, adorava Marietta e con me era gentile, paziente e affettuoso. E così feci finalmente e definitivamente pace con lui e con me stessa. Marietta e Cinzitto mi trattarono come una figlia.
Marietta, avendo una grande capacità di adattamento, si circondò di amicizie che continuò a rimpiangere anche quando, tanti anni dopo, decisero di trasferirsi definitivamente ad Isernia, dove Annamaria e la sua famiglia avevano messo radici, trovando anche un buon lavoro. Anche le sue amiche l’hanno ricambiata per anni, a dispetto della lontananza. Marietta era di una curiosità incredibile. Quando io stavo ormai a Roma − dove sarei rimasta per sempre − mi raggiunse una prima volta a causa di una malattia di Cinzitto, che era stato ricoverato in ospedale. A San Lorenzo abitavo in una piccola, vecchia casa con il mio compagno e un nostro amico. Fui felice di ospitarla, anche se la situazione era piuttosto scomoda. Le scomodità non le creavano davvero problemi: ben altri problemi aveva dovuto affrontare, sin da giovanissima! Una sera dovemmo programmare un’uscita piuttosto dura, perché qualcuno dei nostri era stato provocato dai fascisti. Rimasi senza parole, quando mi disse che voleva venire con noi. Gli altri nostri compagni erano anche contrariati per quella presenza di una donna così adulta ed estranea rispetto al nostro giro, alle nostre esperienze e ai nostri modi di fare in quelle circostanze. La pregai di aspettarci a casa. Il suo no fu netto e non ammetteva repliche. Così ci seguì e dovette assistere, un po’ a distanza, a quell’incontro piuttosto violento. Da lontano, ci indicava gli angoli dove si nascondevano i nostri avversari! Restammo tutti sorpresi e ammirati per la freddezza del suo comportamento e la non scontata, silenziosa solidarietà che ci dimostrò.
Dopo il golpe in Cile e l’omicidio di Salvador Allende fu organizzata, dai gruppi extraparlamentari di cui facevo parte, una grande manifestazione al teatro Brancaccio. La situazione era molto tesa, ma lei volle venire e capire.
Gli slogan urlati a piena voce e la confusione che ne derivò per tutto il tempo della manifestazione furono davvero indescrivibili. Marietta non sapeva se rimanere seduta o stare in piedi a gridare slogan insieme con tutti quei giovani scalmanati. Una matura signora che un po’ stava a guardare, un po’ agitava i pugni in quel casino…certo è che se io non fossi stata conosciuta, non so che sarebbe successo! E la sua domanda, dopo, non fu una sorpresa: «Ma tu sei del PCI?». Per me era difficile spiegare che, a quei tempi, non ero nel PCI che consideravo una formazione troppo moderata! Già in famiglia avevamo la presenza scomoda di papà, comunista del PCI a tutto tondo. E che avrebbe pensato Marietta di una sorella ancora più scalmanata del padre? Ma lei, cattolica convinta, aveva l’intelligenza necessaria per capire che ci potessero essere delle buone ragioni per la mia scelta. E capì (credo), facendomi qualche domanda ma senza avanzare osservazioni o critiche. E, poi, la vogliamo dire tutta? Marietta adorava papà. Di me sapeva che andavo come un treno nello studio, e tutto questo, in fondo, la portava ad accettare le buone intenzioni di papà e mie. Ho sempre pensato che Marietta sia stata una donna non solo rispettosa e tollerante, ma di rara intelligenza. Anni dopo, la sua vita cominciò a finire quando un trattore impazzito la travolse sulle strisce pedonali nel centro di Isernia, proprio alla Vigilia di Natale. Poi sarebbe stata male per alcuni anni, prima di cedere definitivamente, il 29 gennaio del 2013.
Ho un rimorso. Mi aveva chiesto di scrivere e leggere qualcosa su di lei, quando fosse arrivato il momento. Le risposi che mi chiedeva troppo, che non ce l’avrei fatta. Lessi sul suo viso la delusione, ma capii che da parte sua c’era anche comprensione. Poi l’ho fatto e ho letto. Ma non sono riuscita a dire a lei e di lei tutto quello che avrei potuto e voluto dire. Lei, come mio fratello Gaetano, mi aveva chiesto di fare un viaggio: Marietta voleva che la accompagnassi a Lucera e Gaetano voleva venire con me a un raduno di antiche Citroen ‘2 Cavalli’ – come la mia – a Parigi. Entrambe le richieste mi arrivarono poco prima che venissero a mancare. Una strana coincidenza e, ora, tanta tristezza per non aver dato loro una risposta positiva.
Pina Monaco