Raccontando, come ora mi piace fare, di persone e di accadimenti del passato, stamani ho ripensato che finora non avevo avuto l’idea di dedicare un pensiero a uno dei più cari amici, purtroppo scomparso prematuramente; a pensarci bene, il mio commosso ricordo è anche per diversi altri di loro che non ci sono più, ma non sarebbe certo possibile scrivere di tutti.
Mi hanno molto colpito le parole del Vangelo nella seconda domenica di Quaresima, dedicato alla “Trasfigurazione di Gesù sul monte Tabor (Mt 17,1-9):
“Signore, è bello per noi essere qui! Se vuoi, farò tre
capanne, una per te, una per Mosé e una per Elia”
perché, al di là del loro significato teologico, mi hanno offerto lo spunto per ripensare alla fraterna amicizia con il caro Giuseppe (per tutti, “Peppe”).
Tanti anni fa, ebbi occasione, una delle poche purtroppo, di fare una passeggiata con lui in montagna, a Capracotta, in uno splendido pomeriggio estivo; ci fermammo a lungo chiacchierando amabilmente ai piedi della Croce di Monte Campo, fino a che non fummo entrambi rapiti dalla luce dorata del tramonto e feci grande fatica a convincerlo di tornare a casa prima che fosse proprio buio; Peppe era come incantato da quello spettacolo meraviglioso e non mi sorprese più di tanto che mi rivolgesse queste parole adattate, naturalmente, alla circostanza:
“Aldo, è bellissimo per noi essere qui qui! Perché non restiamo?; se vuoi, con i bellissimi rami degli alberi che ci stanno intorno, costruisco due capanne: una per me e una per te”;
e va tenuto conto, oltre tutto, che allora non c’erano i moderni telefoni cellulari, per cui non avremmo potuto tranquillizzare i nostri congiunti se avessimo tardato oltremodo.
Avevo conosciuto questo amico, originario di Ielsi e quindi molisano come me, nel 1962 quando mi ero iscritto alla facoltà di Medicina dell’Università Cattolica a Roma e avevo trascorso con lui, già al secondo corso, circa 5 anni nel “Collegio Joanneum”; era bastato poco per entrare in grande, reciproca sintonia e posso dire con certezza che non avrei potuto avere un “tutor” migliore in tutto l’iter degli studi.
Non basterebbe un intero libro per raccontare di quel periodo e, in fondo, non è quello che mi propongo ora; aggiungo solo che, dopo un primo e comune tirocinio in reparto di patologia medica, il suo percorso professionale si indirizzò alla pediatria e all’infettivologia, mentre io ho imboccato quello delle medicina interna e della reumatologia. Siamo poi rimasti geograficamente vicini perché la sua attività ospedaliera si è svolta prevalentemente nella sua città di residenza, Pescara e la mia, invece, all’Aquila; sono state soprattutto le nostre vite a non separarsi, con la nostra amicizia che è andata ancor più consolidandosi nel tempo a cominciare da quando, non sembri di poco rilievo, ha tenuto a Battesimo come padrino le mie due figlie che lo hanno sempre affettuosamente chiamato “zio”.
Sono state anche molte le occasioni in cui è stato di grande aiuto a me, a mia moglie Anna e ai nostri congiunti non essendoci mancati periodi di grande difficoltà per malattie in ambito familiare e per altre ragioni; nulla tuttavia da paragonare, dal punto di vista umano, alle sue numerose e dolorose vicende per cui io non potevo offrirgli, purtroppo, altrettanto sostegno: fino a quando, per una devastante cardiopatia, è scomparso prematuramente oltre 10 anni or sono.
“Consummatus in brevi, explevit tempora multa” (Sap 1-13)
(Giunto in breve alla fine, aveva realizzato in pienezza la sua vita)
Con questa massima dell’antico testamento ci si rivolge, di solito, a persone che restano in vita ancor meno dell’amico Peppe, ma riempiendola di grandi contenuti; io mi sono sempre chiesto, infatti, come fosse riuscito a prodigarsi tanto per il prossimo, nel senso più evangelico della parola e anche al di fuori dall’ambiente ospedaliero. A distanza di anni dalla sua scomparsa mi è capitato di incontrare persone che lo conoscevano e sono venuto a sapere di incredibili benefici ottenuti grazie alla sua generosità e al suo spirito di sacrificio: nella più assoluta riservatezza e senza clamore alcuno; eppure, ma preferisco sorvolare, erano state davvero tante le vicissitudini e le disgrazie vere che aveva dovuto affrontare nella sua persona e in quella dei suoi cari: a cominciare dal fatto di essere rimasto vedovo con due figli ancora bambini, divenuti poi orfani di entrambi i genitori.
Così, tanto e solo per citare uno dei ricordi più simpatici di Peppe, mi piace raccontare che, dopo un suo gravissimo trauma oculare per cui aveva subìto diversi interventi chirurgici, colsi l’occasione di un congresso internazionale a Rio de Janeiro: mi si offriva l’opportunità di conoscere il Brasile e pensai di invitarlo come accompagnatore, cosa che accettò con molta spontaneità e della quale fui immensamente felice.
Furono solo 2 o tre giorni in cui non ebbi neppure molto tempo per fargli compagnia ma, naturalmente, prendemmo insieme il trenino a cremagliera per una gita al Corcovado, a Rio de Janeiro; superò poi ogni mia aspettativa, pur non amando certo i posti di mare, la vista mozzafiato che si aprì ai nostri occhi mentre sostavamo ai piedi della famosa statua del Cristo Redentore.
Anche quel giorno, in un gioco di luci e di colori, eravamo al tramonto e di nuovo feci una gran fatica per convincere l’amico Peppe a staccarsi da quello scenario incantevole; non tardò infatti a ripetermi, ci avrei scommesso, il versetto della Trasfigurazione illudendosi di fermare la magia di quei momenti e purtroppo toccò di nuovo a me svegliarlo dal suo sogno, rischiando persino di perdere di vista il gruppo di colleghi che ci attendeva. Non ho mai dimenticato, anzi le prosaiche parole della mia risposta:
“A Capracotta avremmo anche potuto fare la follia di costruirci due capanne sulla cima di monte Campo, ma non puoi certo pensare, neppure lontanamente, che sia possibile farlo sul Corcovado”;
mi dispiacque poi di vederlo malinconico e come un po’ imbronciato sebbene fosse difficile immaginare una persona più serafica di lui.
Tanti altri ricordi si affollano ora nella mia mente, ma ringrazio il Signore per l’immenso dono di un amico così fraterno; perciò, serbando nel cuore tutti i momenti vissuti insieme, spero e prego che le mie povere parole sappiano esprimerne la commozione:
“Carissimo Peppe, sono certo che ti abbiano preparato una “capanna celeste” degna della tua vita e della tua bontà e, sia pure immeritatamente, faccio voti di Preghiera coltivando la cristiana Speranza di goderne un giorno insieme a te“.
Aldo Trotta