Le ragazze del nostro popolo, lungi dal chiedere alla palma funerei responsi, all’uscir dal lungo verno, le chiedono quello dell’amore. Così, mentre nelle vie del borgo, nei palagi (palazzi, ndr), ne’ tuguri continua la gentile tradizione degli avi, e tutti si scambiano il saluto di pace e si acquetano le ire, si spengono gli odi, si sugellano le amistà (amicizie, ndr); mentre ogni acquasantiera, ogni campo, ogni stalla si adorna del simbolico ramo d’olivo, perché protegga le case e propizi il ricolto (raccolto, ndr) e gli animali, le ragazze, trepidanti, gettano sul carbone acceso le foglioline d’argento della sacra pianta esclamando:
Palma benedétta – i’ te lave e i’ te nétte – dimme tu se me vò bène – l’amor mio e quanda vène.
Pàlema (palma, ndr) che vié na vòlta all’anne – dimmi se me marite aguoànne.
La palma dapprima scoppietta, fuma, si torce, si accartoccia, saltella allegramente. Il responso è favorevole, e le belle fanciulle, col cuore riboccante di gioia, lo dicono a tutti e lo scriverebbero anche in cielo, se potessero.
Oreste Conti
Fonte: O. Conti, Letteratura Popolare Capracottese, II edizione, Editore Luigi Pierro, Napoli, 1911