La chiesetta di san Vincenzo Ferreri è un piccolo scrigno di devozione, arte e storia realizzata nel XVIII secolo da don Agostino Campanelli. Oggi, voglio raccontarvi la storia dell’epigrafe che ancora oggi si trova al di sopra del portale.
Nell’anno 1781, don Agostino Campanelli termina la costruzione di un piccolo edificio di fronte alla sua abitazione con l’intento di erigerlo a chiesetta con diritto di sepoltura per i componenti della famiglia. E, così, invia una supplica per chiedere il permesso al re Ferdinando IV di Borbone a Napoli. Il sovrano, a sua volta, “gira” la pratica alla Real Camera di Santa Chiara, organo del Regno delle Due Sicilie con funzioni giurisdizionali e consultive, per le indagini del caso.
La Real Camera contatta immediatamente l’Avvocato fiscale della Regia Udienza provinciale di Capitanata, con sede a Lucera e giurisdizione anche sul Contado di Molise. Dalla relazione del fiscale di Lucera, si rileva che sia il vescovo di Trivento, Gioacchino Paglione, sia la popolazione di Capracotta sono favorevoli alla richiesta del Campanelli. La chiesa della famiglia Campanelli si troverebbe nel mezzo dell’abitato in una posizione facilmente raggiungibile per tutti gli abitanti di Capracotta e, questo, soprattutto durante la (lunga) stagione invernale quando il paese si ricopre a tal punto di neve da rendere difficile per la popolazione partecipare alle funzioni religiose nelle altre quattro chiese cittadine, di cui due interdette e due fuori dal centro abitato, e nella stessa Chiesa Madre che si trova «in un luogo eminente ove più dominano i venti ed ove in certi giorni è assai pericoloso l’andarvi, specialmente le donne gravide». Inoltre, don Agostino Campanelli ha già provveduto a elevare una dote di dodici ducati annui per la messa festiva e per il mantenimento delle suppellettili religiose.
La Real Camera di Santa Chiara, dunque, invia il suo assenso al sovrano. Ma pone una condizione: la chiesetta non potrà godere del diritto d’asilo ecclesiastico. E tale condizione avrebbe dovuto essere incisa nel marmo sul portale. Tale iscrizione c’è ancora e, nonostante l’inesorabile trascorrere del tempo, possiamo ancora leggere la formula latina: «Asylo ne gaudeat».
Il re Ferdinando IV accorda l’autorizzazione il 12 giugno del 1783. L’intera documentazione è custodita oggi presso l’Archivio di Stato di Napoli nelle carte della Segreteria di Stato per gli Affari Ecclesiastici del Regno delle Due Sicilie. Ma c’è un altro elemento da segnalare. Il parere della Real Camera di Santa Chiara è firmato dal presidente Baldassarre Cito, uno dei più eminenti magistrati del periodo borbonico. Qualche anno dopo, Baldassarre Cito “firmerà” un altro importantissimo provvedimento per la vita della comunità capracottese. Ma questa è un’altra storia…
Francesco Di Rienzo
Fonte: ASN, Ministero Ecclesiastici,1135 III