Ormai tanto tempo fa, cercando di imparare un minimo di Inglese che non avevo studiato a scuola, mi pareva sbagliato tradurre il nome di Capracotta in “COOKED GOAT”; mi ero poi convinto del contrario verificando che un’antica mappa geografica del 1660 (foto in alto, ndr), riportava proprio “CRAPA COTTA”; e non voglio e non posso certamente riprendere il dibattito che da tantissimi anni appassiona su questo nome, ma ho appreso con grande favore dell’iniziativa culturale promossa dall’amico Antonio D’Andrea sul tema della…capra: un vero e proprio “Capra Day”.
Ha sempre irritato anche me ascoltare l’appellativo di “capra” per indicare una persona scarsamente dotata di astuzia e di intelligenza: almeno ricorressero, pensavo, al termine “asino” reso così celebre da Carlo Collodi nel suo “Pinocchio”, ma che pure suonerebbe offensivo! Secondo me, inoltre, queste parole di scherno sono spesso sulla bocca di personaggi altolocati, che pure non si accorgono della loro ignoranza in tema di cultura e di saggezza popolare; sono poi convinto che nessun capracottese si sognerebbe mai di attribuire alla parola “capra” un significato deteriore e certamente non solo per riconoscenza nei confronti di questi animali da cui, per secoli, è dipesa la sopravvivenza stessa di tanti cittadini.
Non c’era quasi famiglia, a Capracotta, che non possedesse almeno una capra ed erano ammirevoli le regole applicate, da tempo immemorabile, per il loro allevamento e la loro gestione comunitaria; tranne che d’inverno infatti, esse si radunavano con incredibile rapidità e compostezza al suono del corno diffuso, come un “pifferaio magico”, dal “capraio” (craparɘ): bastava che qualcuno aprisse loro la stalla come, ad esempio, faceva ogni mattina la zia Michela.
A proposito di questa cara zia, sebbene fossi allora un bambino, sono stato partecipe del suo grande rammarico quando le morì una capretta per cause del tutto naturali; con grande dispiacere, inoltre, avevo appreso da lei del sacrificio estremo di uno degli storici pastori: il compianto Fiore De Renzis, vittima di un ordigno bellico lasciato sul terreno ed esploso durante il suo servizio.
Tornando al tema culturale di cui parlavo”, uno studio eseguito nel 2014 dalla “Queen Mary University” di Londra, e pubblicato sulla rivista ‘Frontiers in Zoology’, rivela come le capre siano dotate di una grande intelligenza; lo studio, intitolato “Goats excel at learning and remembering a highly novel cognitive task”, è stato eseguito su 12 esemplari sottoposti ad alcuni esperimenti comportamentali; i risultati della ricerca hanno dimostrato che le capre sono capaci di risolvere dei compiti complessi in tempi e modi rapidi e sono anche in grado di ricordare ciò che era stato loro insegnato.
Il co-autore dello studio, Elodie Briefer, ha spiegato infatti che:
“la velocità con cui hanno ripetuto il complesso esercizio a 10 mesi, comparato al tempo impiegato per apprenderlo, indica una memoria a lungo termine eccellente. Abbiamo inoltre scoperto come gli animali privi di insegnante abbiamo appreso altrettanto velocemente dalle capre che hanno visto nelle dimostrazioni. Questo svela come le capre preferiscano imparare da sé, anziché apprendere guardando gli altri”.
Insomma è proprio grazie alla loro incredibile memoria che le capre sono in grado di colonizzare nuovi ambienti anche dove la vegetazione non è delle migliori, di rammentare i luoghi dove il pascolo è migliore e soprattutto, con estrema facilità, i percorsi già noti; si spiega, così, la ragione per cui a Capracotta si poteva star certi che, all’imbrunire, le caprette facessero ordinatamente ritorno ciascuna nella propria stalla; è stato inoltre dimostrato che non solo quelle geneticamente affini producono belati molto simili, ma anche che i belati delle capre cresciute nello stesso gruppo si somigliano e diventano ancora più simili con il passare del tempo: segno che, nello sviluppo di una forma di comunicazione, l’apporto genetico conta, ma è ancor più rilevante il tempo che ogni esemplare trascorre con i suoi simili.
Mi piace ancora riportare le conclusioni di un altro lavoro scientifico, pubblicato nel 2018 sulla rivista “Royal Society Open Science” e intitolato “Goats prefer positive human emotional facial expressions”; così scrive il suo principale autore, Christian Nawroth:
“Sapevamo già che le capre sono molto in sintonia con il linguaggio del corpo umano, ma non sapevamo come reagiscono alle diverse espressioni emotive umane, ad esempio rabbia e felicità: qui dimostriamo per la prima volta che le capre non solo distinguono tra queste espressioni, ma preferiscono interagire con quelle felici”.
Alla luce di tali acquisizioni, viene spontaneo ripensare al fiabesco mondo delle caprette di Joanna Spyrl nel suo romanzo “HEIDI”: che non era poi così illusorio e puerile come poteva apparire ma che, al contrario, anticipava per diversi aspetti la moderna psicoterapia che si avvale degli animali domestici: quella che ora viene definita “PET therapy”; da vecchio medico, mi preme ancora un accenno ad altri e ancor meno conosciuti meriti delle capre, utilmente prese a modello, per esempio, in diversi importanti studi sulle artriti infiammatorie umane e, in particolare, sulle cosiddette “artriti reattive” postvirali.
Sarei davvero presuntuoso, infine, se cercassi di approfondire le complesse motivazioni socio-economiche che rendevano così preziosi questi animali per la sopravvivenza stessa delle persone in passato; così, a prescindere dalle questioni tuttora in sospeso circa l’origine del nome “Capracotta”, mi esalta il fatto che nello stemma del suo vessillo compaia una capretta, la stessa che ha poi ispirato il logo della nostra Associazione “Amici di Capracotta”.
Altrettanto lodevole, a mio giudizio, l’idea di utilizzarne l’immagine come “mascotte” dei campionati nazionali di sci nel 1997, ma nulla vieta che, prima o poi, si possa anche pensare a un vero e proprio “monumento alla capretta” (?): già realizzato, del resto, in diversi paesi di montagna come il nostro e sono certo che non ci sarebbe ELOGIO migliore per questi animali così generosi e intelligenti.
Altro che…”dare della capra” senza neppure averla mai conosciuta!
Aldo Trotta