Come ho ricordato in diverse occasioni, mi sono illuso che la grave malattia neurodegenerativa di mia moglie Anna non arrivasse fino al punto da impedirle qualsiasi capacità di movimento autonomo e, ancor più, ogni possibilità di eloquio; eppure, da medico ospedaliero, non mi erano sfuggiti i primi, inequivocabili segni della sua patologia che lasciavano presagire la maggior parte delle successive manifestazioni: e me ne dispiace immensamente, soprattutto per l’impossibilità assoluta di comunicare con lei, fatta eccezione per il linguaggio…del cuore.
Al mio sconforto si aggiunge lo scrupolo di non aver sufficientemente corrisposto alla sua presenza e alla sua dedizione: nel senso non di averla colpevolmente trascurata, ma di averle spesso anteposto le priorità, eccessivamente esasperate, del mio lavoro e di tutto ciò che collateralmente esso comportava; non va inoltre dimenticato l’oneroso e comune impegno assistenziale dedicato alle nostre famiglie di origine: tanto più considerando la loro distanza fisica dalla nostra residenza che ha rappresentato, per anni, una considerevole aggravante.
Così, nelle lunghe ore che adesso trascorro in assoluto silenzio a sorvegliare Anna, è stato naturale riflettere allo spirito stesso del matrimonio: quello, s’intende, inteso come Sacramento illuminato dalla fede cui abbiamo sempre cercato di ispirarci; a tale proposito mi sono rammentato di alcuni inquietanti articoli comparsi sulla rivista “Civiltà Cattolica” che sottolineano il crescente rischio di depauperarne la dimensione teologica privilegiandone il ruolo di unione naturale: con il temibile risultato di andare incontro a un pericoloso processo di secolarizzazione in cui la Fede degli sposi ha sempre meno importanza.
“Si arriva persino a parlare di boomerang teologico e pastorale a causa del fenomeno, oggi sempre più rilevante, di battezzati che non vivono la loro fede, e che si sposano in chiesa solo per tradizione o perché è più decoroso. Tutto ciò rischia di trasformare il matrimonio in un sacramento per i non praticanti. La riflessione si deve spostare invece dal piano canonico e morale a quello teologico, favorendo l’idea che è la relazione con Dio ad avere il ruolo centrale e dunque vitale. Occorre rendere le persone consapevoli dell’importanza e della bellezza di una relazione con Dio per poter gustare, vivere e nutrire quella di coppia”.
Ma…non voglio e non posso certo affrontare questa problematica tanto più dal punto di vista teologico! Mi hanno solo fatto riflettere le profonde riflessioni della scrittrice Christiane Singer, nel suo “Elogio del matrimonio”; ad esempio:
- “Non ci si sposa per essere felici né che ci possa inebriare la generica felicità che viene augurata nel giorno delle nozze…
- non si può restare a lungo fotogenici e impeccabili né dimostrarsi amanti dell’amore inoffensivo offerto dalla luna di miele…
- il matrimonio non ci vuole presentabili, ci vuole vivi! – e ci farà perdere la faccia fino a che, sotto le nostre maschere, appariranno i nostri veri volti”.
Così, dopo ben 52 anni di matrimonio, credo proprio che il mio volto e quello di Anna siano ormai “smascherati” e non è certo per meriti speciali che siamo riusciti a restare così a lungo insieme: ma è innegabile che per me sia andata in vigore da tempo una strana “legge del contrappasso”. Infatti, nel rammarico di essermi lasciato sfuggire diverse belle occasioni che io e Anna avremmo potuto condividere, è normale che io cerchi ora di trascorrere la maggior parte del tempo accanto a lei, quasi a volerla, in qualche modo, risarcire; solo in questa prospettiva possiamo sentirci accomunati al pensiero del professor Alessandro D’Avenia, riportato in un articolo del “Corriere della Sera” e intitolato “Educazione duale”.
Prendendo spunto da questa insolita forma grammaticale del greco antico, utilizzata per indicare un elemento che di necessità ne implica un altro, lo scrittore racconta con emozione l’esperienza, vissuta insieme alla promessa sposa, di assistere alla fusione degli anelli nuziali per il loro matrimonio; io stesso ignoravo la storica credenza per cui si riteneva che il dito anulare fosse collegato al cuore da una vena detta “dell’amore” ma è quanto mai originale l’idea che, a due persone unite dal vincolo matrimoniale si addica particolarmente il “duale”. In altri termini la coppia non sarebbe la somma di due persone “singole” che provano a stare insieme, ma un tutt’uno che si plasma e si rinnova di continuo in analogia con la metafora dei metalli pregiati (oro, argento e rame) che si fondono per comporre gli anelli; e sono queste le sue bellissime parole:
“non erano solo due anelli, ma un duale, un noi-due aureo: l’unione nella differenza, l’azione comune che permette a ognuno di essere chi è ma anche chi ancora non è e diventarlo sempre più, grazie all’altro, senza dominio, sottomissione o manipolazione. Il duale non è quindi a metà strada fra singolare (individuo) e plurale (società), ma è l’origine di entrambi: la coppia fra i due si fa nella differenza senza che diventi opposizione e nell’unità senza che diventi fusione”.
Sarebbe certo presuntuoso affermare che io e Anna, sia pure dopo tanti anni di matrimonio, siamo riusciti a diventate una “persona sola” o, ancor meglio, a incarnare un perfetto “duale”; sta di fatto, e lo posso assicurare, che i congiunti e gli amici mi rimproverano affettuosamente vedendomi spesso rinunciare a qualche momento di evasione e persino alla prospettiva, in passato sempre molto lusinghiera, di un breve soggiorno a Capracotta; può sembrare incredibile ma si tratta di una mia, pur sofferta scelta, perché senza la presenza di Anna accetterei di tornare…”al singolare”.
Così mi permetto di credere che, sia pure nel più completo silenzio, continui a prevalere la mia (e la nostra?) volontà di non allontanarci dal solco di quell’“Educazione duale” così faticosamente acquisita:
“NELLA GIOIA E NEL DOLORE, NELLA SALUTE E NELLA MALATTIA”, come ricorda la formula stessa del matrimonio.
Infine, nell’insopprimibile malinconia di questa stagione, mi conforta il pensiero di Christiane Singer:
“Amore è ciò che rimane quando non sembra restare più nulla!”
Aldo Trotta