Viste di Capracotta innevata scattate da Giovanni Paglione. Le foto ritraggono: via Santa Maria di Loreto, uno spalatore che apre un varco, corso Sant’Antonio, via Santa Maria delle Grazie e una “bussata” con bastone alla finestra.
È la neve di Capracotta. Una neve superiore, una neve aristocratica, insomma una neve con la “N” maiuscola annotava il dott. Durante Antonarelli, Medico condotto e Ufficiale Sanitario di Capracotta, nelle sue riflessioni su Capracotta.
Saranno due o tre metri di neve. In alcuni posti si notano banchi di neve alti anche cinque. Una neve vera che d’Inverno, quassù, cadeva in abbondanza, specialmente quando imperversava la bufera generata dalle correnti d’aria gelida provenienti da Nord e da Est (Siberia, Balcani).
La bufera che accecava, che arrestava il respiro, che ti faceva fare mezzo passo innanzi e due o tre passi indietro o di lato. Guai a cadere sulla neve sconvolta.
Eppure la vita quassù si svolgeva assai regolarmente con la neve e nella bufera. Di giorno e di notte. Sposavano anche in quest’ira di Dio.
Certo bisognava essere abituati. Perciò gli uomini di montagna sono forti. A volte neanche i lupi resistevano e preferivano scendere a valle. Andavano in Agnone. Andavano in Isernia. Ma che facevano i capracottesi quando quassù faceva così brutto? Vivevano con rassegnazione e senza angosce il ritmo della stagione invernale scandito dal calendario dell’anno solare. La maggior parte della giornata si viveva in famiglia cui partecipava un nucleo piuttosto allargato che comprendeva anche suoceri, fratelli e cognati. Re incontrastato di questo ambiente comune era il caminetto (ciummnera), qui ci si scaldava, ci si riuniva e si cucinava. Le provviste non mancavano. Le dispense erano piene di prosciutti, salami, lardo, legumi, patate e grano. Le donne impastavano la farina e producevano pasta fresca di vari formati che veniva cotta nel magnifico paiolo (cuttur) in bella mostra tra le fiamme del camino. Davanti al cammino si passavano le ore a raccontare e commentare fatti nuovi e vecchi di vita quotidiana. Non c’era fretta per nulla. Non c’era necessità di spostarsi per lavoro verso paesi vicini. I pastori con le greggi erano in Puglia. Non c’era necessità di dedicarsi ai lavori della terra. La natura dormiva nell’attesa che l’Inverno passasse. Non c’erano spazzaneve e la viabilità, come visibile dalle foto, era assicurata dai viottoli prodotti dal calpestio della neve nelle ore di veglia e dai varchi aperti dallo spalatore.
E così tutti i servizi erano garantiti e la vita andava avanti, con disagio, ma anche con tanta solidarietà, con tanta tranquillità e con tanta serenità, come documenta la foto con lo spalatore dove alcune vecchiette in piedi sulla soglia dei portoni di casa, ripuliti dalla neve, aspettavano che passasse la giornata e l’inverno. E non era faticoso farlo perché in queste condizioni, in questo ambiente, a questo spettacolo se si aggiungeva un pizzico di sole ci si sentiva più vicino a Dio e nel contemplarlo tutto diventava sublime e sopportabile.
Matteo Di Rienzo
Fonte: AA.VV., Capracotta 1888-1937: cinquant’anni di storia cittadina nelle foto del Cav. Giovanni Paglione, Amici di Capracotta, Tipografia Cicchetti, Isernia, 2014