La celebrazione della giornata dedicata ai diritti del fanciullo avvicina il mio pensiero alla prossima ricorrenza del santo Natale: ineffabile nel suo significato e nella sua magica atmosfera ma forse, mai come ora, offuscata da profonda tristezza; basta pensare infatti ai tanti, attuali teatri di guerra di cui le prime e forse più numerose vittime sono proprio i bambini.
A tale riguardo sono state diffuse delle statistiche davvero spaventose che parlano di 400 milioni di minori che vivono in territori di conflitto nel mondo; d’altro canto, è la storia a ricordarci le numerose tragedie che si sono abbattute sui più piccoli, anche prescindendo da quelle provocate da eventi bellici o da calamità naturali.
Da bambino ricordo che mi rattristava molto, appena dopo il 25 dicembre, riascoltare della cosiddetta “strage degli innocenti” messa in atto dal re Erode nel timore che un bimbo sconosciuto potesse detronizzarlo; per non parlare dei tanti drammi a noi più vicini come quello dei giovanissimi emigranti che perdono la vita per un naufragio o per tante altre, spesso innominabili ragioni.
È tutto il contrario, in assoluto, di quanto ci si aspetterebbe dall’umanità dopo 2000 anni di cristianesimo e che mi piace riassumere con le parole utilizzate dallo scrittore Alessandro D’Avenia in uno dei suoi consueti editoriali:
“con i bambini ci si attende naturalmente la loro cura; e non ci prendiamo cura di loro perché li amiamo, ma perché impariamo noi ad amare sforzandoci di farlo”.
Tutto ciò non sembra essersi avverato sebbene, grazie a Dio, non siano pochi gli uomini “di buona volontà”; sta di fatto che rimangono disattesi molti dei diritti dei bambini, a cominciare da quello alla vita o all’istruzione e, a tale proposito, è stato eloquente il discorso del nostro Presidente della Repubblica:
“L’impegno profuso non è stato sin qui sufficiente: troppo alto il divario esistente tra esigenze e risultati. L’impegno richiesto per una tutela effettiva dei diritti dei fanciulli è ben lungi dall’essersi esaurito. Le bambine e i bambini hanno diritto a pari opportunità nella vita, hanno diritto di essere ascoltati, accettati e di vivere la loro età. Hanno diritto alla pace. Riconoscere in concreto e promuovere questi diritti, fornendo gli strumenti per diventare adulti consapevoli, vuol dire offrire a tutti noi la speranza di un futuro migliore».
Queste parole, che naturalmente provocano molto dispiacere, sottolineano quanta strada resti purtroppo ancora da percorrere e il nostro cruccio rasenta la disperazione al pensiero che, nonostante tutto, il genere umano possa regredire piuttosto che progredire!
Mi torna in mente, così’, una vecchia poesia di Ada Negri che pensavo si adattasse solo al drammatico periodo in cui sono nato io, 80 anni fa e che, invece, sembra essere tornata tragicamente attuale: tanto più nei territori di Israele e della Palestina; si intitola “Natale di guerra”:
“Sola fra le solitudini di campi
di neve è la capanna santa:
macchie di sangue sulla soglia stagnano,
lordan lo strame ove il Bambino, in miseri
panni è deposto, e il manto di Maria.
Né campana rintocca, né parola
vibra nell’aria, né si scrolla ramo,
né passo entro la neve si sprofonda:
piange il Bambino, nel silenzio enorme,
e non lo può la Madre addormentare.
Piange: sì alto, che dal cielo gli angeli
scendono a lui, destando le campane
col remeggio dell’ali: al novo canto,
che di quell’ali ha la purezza e il fremito,
tutta la terra è una preghiera e un pianto”.
Impossibile, infatti, non cedere alle lacrime ascoltando le notizie e guardando le spaventose immagini di cui sono piene le cronache odierne; ci soccorrono le parole di papa Francesco che per le festività natalizie del 2020, quando incombeva il dramma della pandemia, diceva testualmente:
“Il Signore ha fatto bene a donarci così tanto, fa bene a nutrire ancora fiducia in noi? Non ci sopravvaluta? Sì, ci sopravvaluta, e lo fa perché ci ama da morire. Non riesce a non amarci. È fatto così, è tanto diverso da noi. Ci vuole bene sempre, più bene di quanto noi riusciamo ad averne per noi stessi”
“Ha messo tutta la nostra salvezza nella mangiatoia di una stalla: lasciamo che la sua misericordia trasformi le nostre miserie!”.
Tornando ora alle ragioni che hanno ispirato la mia, un po’ malinconica riflessione natalizia, mi auguro di non essere frainteso; sebbene infatti possa apparire un’utopia, resto convinto che, almeno per i cristiani, non dovrebbe essere necessario celebrare una giornata mondiale dell’infanzia: ce ne potrebbe mai essere una migliore e più universale del santo Natale?
Mi rattrista poi, immensamente, il pensiero che di anno in anno Gesù Bambino riesca a trovare sempre meno riposo nella sua mangiatoia; per cui non si può che passare “dalle lacrime alla Preghiera” non vergognandoci di tornare fanciulli e di ripetere come una volta, davanti al Presepe la lunga, antica nenia che tutti conosciamo:
“Mai lasciarti, sempre amarti
ti prometto o mio Bambin;
dunque ti assonna,
chiudi le belle luci e fa’ la nonna*”
Così, grazie al prodigio delle sue semplici parole e al fulgore abbagliante del Natale, le tenebre sembrano diradarsi e riaffiora la Speranza cristiana: che spero e prego si rafforzi nei nostri cuori e si diffonda unitamente ai miei più fraterni auguri di buon Natale per i cari “Amici di Capracotta” e per l’umanità intera.
Un abbraccio forte a tutti
Aldo Trotta
* “Nonna” in dialetto significa “nanna”.