‘Viene viene la Befana…’, e a me tornano in mente parole scritte qualche tempo fa che mi fa piacere riproporre proprio oggi.
Lucia ‘di Milione’ era nata (come me) a Capracotta, un piccolo paese di montagna dell’Alto Molise.
Il suo soprannome derivava da Emilio, suo padre, che era alto, grosso e da qui ‘Emilione’ – ‘Milione’.
Nel tempo, di molte famiglie il cognome restava solo nei documenti, e nella vita quotidiana si riconoscevano con i soprannomi. La mia famiglia, per esempio, era ed è ancora ‘la caccia’: gli uomini si erano sempre distinti, infatti, per la loro intraprendenza. Cacciatori delle donne amate, se i parenti resistevano o erano contrari, bastava una serenata, un tocco di mano o una parola in più, ed era fatta!
Ma torniamo a Lucia. Alta, di corporatura possente, i suoi capelli erano sempre poco curati e le sbucavano da un liso fazzoletto copricapo. I vestiti l’uno sull’altro, ‘a cipolla’; le calze di lana grezza sia in inverno che in estate. In testa, una stoffa raggomitolata (la ‘spara’) su cui poggiare enormi fascine di legno…e tutto intorno a lei, un alone fortemente maleodorante.
Tutti i giorni andava per boschi e vallate il più possibile lontani dal paese. Tornava verso l’ora del vespro. E, poi, un vezzo in contrasto col suo cattivo odore: riportava in paese tanti fiori colorati e tante erbe odorose, spesso sconosciuti ai più.
Io ero piccola e sempre attaccata alle gonne di mamma. Stavamo sedute una accanto all’altra sul gradino di casa, e divoravo tutte le storie che mamma Maria mi raccontava. E quanto le piaceva raccontare! Mi ricordo che Lucia sbucava dalla ‘rufa’ e io sobbalzavo dalla paura, subito rassicurata dalle parole di mia madre: «Come stai, Luci’? Ho fatto proprio adesso il caffè. Prendine una goccia, che ti aggiusta lo stomaco». Lei non entrava a casa, aspettava e, grata, si beveva quella buona e inaspettata bevanda. E poi salutava, sempre bruscamente, e se ne andava.
Quando fui un po’ più grandicella, mamma mi raccontava che Lucia non parlava volentieri con gli altri e faceva la voce grossa quando i ragazzini le facevano codazzo gridandole appresso: strega, strega!
Con mia madre si comportava diversamente: un lamento, un’imprecazione, ma sempre un pensiero a Irene sua sorella che, poverina… Spesso, poi, le regalava mazzetti di fiori e di erbe: merito del carattere accogliente di mamma e del buon cuore di Lucia, nascosto da stoffe alte due dita e soffocato dalla malevolenza del paese nei suoi confronti. Poi, tutte e due erano nate e cresciute insieme nella ‘Terra Vecchia’, il borgo antico fatto di tante casette con tanta gente e un arco buio e profondo detto ‘la tomba’, sotto al quale portavano avanti la vita alcune famiglie e anche Lucia e la sorella. Certi fiori che le regalava Lucia, mia madre non li aveva proprio mai visti, pur conoscendo quasi palmo a palmo quelle terre dure di montagna per ricavarne lenticchie e patate. Mamma spesso le chiedeva delle erbe strane, particolari: non si trattava di camomilla o malva, ma di erbe selvatiche che servivano per le bronchiti, per i gonfiori di qualche ferita, per qualsiasi dolore e soprattutto per quelli ‘a tutta la vita’, cioè per tutto il corpo!
Molti, in realtà, pensavano a pozioni magiche stregonesche…e giù aneddoti truculenti!
Del borgo antico, dopo la guerra rimase solo la ‘tomba’. Le case furono fatte saltare in aria dai nazisti, come è noto. La ‘tomba’ no, l’unica traccia rimasta. L’identità di un’intera comunità fu così cancellata, e nessuna mano, nessun cuore di amministratore pubblico pensò mai di provvedere a ricostruire il borgo. Anzi, in nome della cosiddetta modernità, fu perpetuato un altro scempio: la costruzione di un ‘belvedere’, quasi una lapide sulle macerie di vite vissute.
La mia curiosità mi spingeva a chiedere a mamma di Irene. Dopo la morte del padre, anche il marito di Irene passò a miglior vita, ma nel senso che se ne volò in America, senza più dare notizie di sé. E così Irene si lasciò andare, e la povera Lucia, compatendo la sorella, cominciò a occuparsi di tutto.
Che Lucia fosse trattata come una strega lo appresi dalle madri delle mie amichette che, per porre fine ai nostri giochi in casa, minacciavano di chiamarla come si faceva con ‘l’uomo nero’. Ma sospetto che loro credessero davvero che si trattava proprio di una strega!
Da mamma non ascoltai mai niente del genere, ma solo una sorta di pietà perché la poverina doveva occuparsi di una vita per due, per di più due donne!
Molti anni dopo, a partire dagli anni Settanta, cominciai a nutrirmi, insieme con tante donne di tutto il mondo (e con tante modalità diverse), delle prime letture di Simone de Beauvoir, di Betty Friedan, di Carolyn Merchant e di altre, partecipando al movimento femminista.
“Tremate, tremate, le streghe son tornate…! ”. Questo gridavamo nei cortei e durante le manifestazioni. Positivo (per noi) e minaccioso, questo richiamo alle streghe!
Un grido di lotta contro la storica oppressione e volontà di sottomissione da parte del potere maschile nei confronti delle donne, molte delle quali – le più ribelli e autonome – considerate streghe e diavolesse, per arrivare addirittura ad eliminarle fisicamente!
Nel richiamo alle streghe, dunque, c’era per noi il senso di un impegno culturale e sociale ‘universale’: un impegno non solo per la nostra generazione ma anche nel riconoscimento delle sofferenze subìte dalle donne-streghe delle generazioni precedenti: una provocazione, a suo modo, davvero ‘rivoluzionaria’.
Fu così che capii definitivamente quanto anche la vicenda di Lucia e di altre come lei, nel mio paese e ben oltre, fosse solo parte di una più generale, storica condizione delle donne, accettate ideologicamente, socialmente, e persino sul piano religioso, solo se conformi al modello di donna sottomessa imposto dalle culture e dai poteri maschili dominanti.
Appresi inoltre che sulle streghe si era scritto e parlato tanto, partendo da una dettagliata ricostruzione storica e di costume.
La letteratura è piena di autori che, insieme ai pregiudizi e alla cultura popolare, hanno contribuito, in misura diversa, a forgiare il ritratto tipico della strega, quello che ormai è entrato nell’immaginario collettivo: una donna brutta, vecchia, quasi sempre accompagnata da una scopa o un gatto nero e china su un pentolone di erbe e filtri fumanti.
E come dimenticare le ‘streghe’ che dobbiamo annoverare sin dall’antichità? Circe, la celebre maga dell’Odissea, che trasforma i compagni di Ulisse in porci, e Medea, la regina dei Colchi che si innamora di Giasone. E’ una donna potente, Medea, perché ‘conosce’, sa. E’ depositaria di un antico sapere magico di impronta femminile. Così la descrive Christa Wolf. E, ancora, Ecate, dea pre-ellenica degli Inferi e regina nel mondo delle streghe nel Macbeth di Shakespeare. E streghe, ancora, nelle opere di molti classici: nel Satyricon di Petronio, nelle Metamorfosi di Apuleio e così via.
Ma anche la cultura cattolica storicamente incarnata ha fatto, purtroppo, la sua parte!
Nel Seicento dell’Inquisizione – soprattutto per iniziativa di papa Innocenzo VIII – ha il suo apice la “caccia alle streghe”, la caccia alla figura della strega come donna che si ribella alle convenzioni sociali e al mondo dominato dagli uomini, che frequenta e si unisce col diavolo. Le poverine venivano bruciate vive insieme ai loro animali. E ancora oggi persiste la sciocca superstizione dei gatti neri portatori di sfortuna!
Molti sono stati gli autori dei tempi dell’Inquisizione che hanno scritto sulle streghe e i diavoli. Alcuni per avallare le tesi della Chiesa, altri per contrastarle .
Nei tempi nostri, un testo che ho trovato fra i più interessanti è ‘La chimera’ di Sebastiano Vassalli, che nel 1990 vinse il Premio Strega (tanto per rimanere in tema). Il suo romanzo storico, ritratto vivido e documentato della ‘caccia alle streghe’, è basato su ricerche d’ambiente nel novarese, sull’analisi della struttura e dei modi di attuazione dell’Inquisizione, sui costumi e la vita nel Seicento.
La storia dura, crudele che egli narra è quella che si snoda in un piccolo borgo novarese di nome Zardino. Antonia è la protagonista, vittima della sua ingenuità e della sua bellezza, che le attirano la cattiveria, l’odio, l’invidia, la violenza, la superstizione della gente fino alle fiamme del rogo.
Unico atto di pietà (!), il veleno che il boia le diede prima delle fiamme!
Naturalmente, anche le fiabe che raccontiamo ai nostri figli e nipoti, sono popolate di streghe ma, per fortuna, anche di fate buone, versione ‘laica’ e popolare della tradizione religiosa e poetica (dalla Mamma di Gesù, alle Sante, alle madonne della poesia medioevale).
Ma chi non ricorda la strega antropofaga della fiaba di Hansel e Gretel, che vive in una casa di marzapane? Oppure la bellissima strega matrigna di Biancaneve, che si trasforma in una orrenda vecchia per propinare alla fanciulla una mela avvelenata?
O le fiabe russe piene di pozioni con le erbe?
Quale ruolo narrativo hanno queste streghe nelle fiabe? Sono perfide antagoniste, spesso hanno per complice un animale non meno ‘diabolico’: un gatto nero, un corvo o un altro animale che ne condivide la cattiveria e la spregiudicatezza. Le streghe sono l’ostacolo – non sempre vincente – che i protagonisti e le fatine loro alleate devono superare per rendere realtà i loro sogni.
Dunque le streghe – che si presuppone abbiano la conoscenza delle erbe – sono avvelenatrici e preparano spesso pozioni letali.
Alla luce di queste poche ma fondamentali riflessioni, anche la vicenda di Lucia si riesce a interpretarla meglio in tutta la sua semplice drammaticità.
Infine, io penso proprio che si possa affermare, d’accordo con molti analisti moderni, che la radice profonda della ‘creazione’ delle streghe da parte della cultura maschile dominante, consista nella paura dinanzi ad una potenza misteriosa della quale solo le donne sono dotate: la capacità di dare la vita, di procreare.
Una potenza così misteriosa può essere divinizzata ed esaltata come con la figura della Madonna e delle Sante nelle religioni cristiane che, tuttavia, ancora oggi non riescono pienamente a riconoscere una parità di diritti e di funzioni fra religiose e religiosi nell’amministrazione dei sacramenti. Ma la stessa potenza può essere – come abbiamo visto accadere nei secoli bui – demonizzata e perseguitata, persino in ambito religioso.
E penso che non potremmo neppure interpretare in profondità l’orrendo, attuale fenomeno dei ‘femminicidi’, se ci ponessimo al di fuori di questo contesto storico-culturale!”
Pina Monaco