Via Arco con la neve. Archivio fotografico: Cesare Di Bucci (1981)
Jocelin de Chateau Neuf nei primi anni dell’anno 1000 portò nel Delfinato in Francia le spoglie di sant’Antonio abate, avute in dono, pare, dall’imperatore di Costantinopoli. Le reliquie vennero lasciate a La Motte Saint Didier attuale Saint Antoine l’Abbaye, vicino alla città di Vienne. Qui nel 1095 sorse una comunità laicale, con fini ospedalieri, a seguito del voto fatto dal nobile Gastone, che aveva avuto un figlio guarito dall’ergotismo, per grazia ricevuta al santuario di Saint Antoine Abbaye. Egli assieme al figlio e a altri cinque nobili del Delfinato formò il primo nucleo di un nuovo ordine religioso: gli Antoniani. I membri di questo nuovo ordine, chiamati anche cavalieri del fuoco sacro, si dedicavano alle cure degli ammalati di herpes zoster, detto non a caso anche fuoco di sant’Antonio, e di ergotismo che era provocato soprattutto dall’ingestione di segale cornuta. Gli Antoniani usavano soprattutto il grasso di maiale come emolliente per le piaghe provocate dal fuoco di sant’Antonio, per questo nei loro possedimenti allevavano spesso i maiali che simbolicamente venivano raffigurati anche nelle chiese dell’Ordine. Venivano anche chiamati i “cavalieri del tau”, per la loro divisa che era formata da una veste e da un manto neri, con una croce di sole tre braccia di colore azzurro, cucita sopra il cuore. L’Ordine lasciò traccia del suo passaggio attraverso una serie pressoché infinita di ospedali e luoghi di culto dedicati a sant’Antonio abate distribuiti in tutta Europa.
Anche a Capracotta esisteva una chiesa dedicata a sant’Antonio abate con annesso Xenodochio (o Ospedale) nei pressi dell’attuale via Arco e un documento del 1548, contenuto nel “Libro delle Memorie”, riporta l’inventario delle sue rendite. Anche nel testo “Il Territorio di Capracotta” di Luigi Campanelli è citata la chiesa a Capracotta con un importante collegamento con Napoli: l’abate della chiesa di sant’Antonio di Vienne di Napoli aveva lo jus patronato su quella omonima di Capracotta nel 1671. Nel 1732 una delle sette Contrade di Capracotta era intitolata al Santo e fino al 1758 troviamo ancora citato lo Xenodochio.
Il 17 dicembre 1776 il Papa Pio VI con la bolla Rerum humanarum conditio sancì definitivamente l’abolizione dell’ordine Antoniano. Non finì però la devozione per sant’Antonio abate e in alcuni paesi, fino a metà del secolo scorso, il 17 gennaio veniva impartita una particolare benedizione agli animali domestici. Ancora oggi in molti paesi per devozione al santo nel giorno del 17 gennaio vengono accesi fuochi per le strade. Non sappiamo fino a quando a Capracotta la chiesa di sant’Antonio sia rimasta in piedi né dov’era precisamente. Ma, a Capracotta come a Napoli, il Carnevale ha inizio tradizionalmente proprio il giorno dedicato al Santo, ossia il 17 gennaio e, sebbene oggi non vi siano più gruppetti di ragazzi che girano per le case rappresentando scenette comiche, è ancora viva la memoria della filastrocca che chiudeva la mascherata e citava sant’Antonio abate:
Ngicce e ngicce
damme na nzégna de salgiccia
ne me ne dènne troppe poche
ca ze strujje per re fuoche
dammene ggiustamende
ca sand’Andogne s’accundenda!
Ca se la casa à pèrse l’use
l’anne che vè pozza sta chiusa.
(Ngicce e ngicce, regalami un po’ di salsiccia, non darmene troppo poca perché arrostita ne resta poca, dammene nella misura giusta perché sant’Antonio si accontenta! Che, se la casa ha perso tale usanza, l’anno prossimo possa restare chiusa!).
Francesco Di Rienzo