Tra le tante notizie che ci pervengono adesso, tramite mille canali, mi ha particolarmente colpito quella che si riferisce alla giornata mondiale della neve (21 gennaio 2024”); e non vi è dubbio che, al momento attuale, siano troppo numerose le celebrazioni internazionali dedicate a temi assai disparati, da quelli più frivoli a quelli di vitale importanza per l’umanità. Ho voluto, comunque, informarmi di quell’iniziativa pensando che essa rappresenti una specie di “esorcismo collettivo”: in un momento tra i più critici degli ultimi decenni per il “riscaldamento globale”; e, sono sincero, quando ero piccolo nel fiabesco scenario del mio paese, a Capracotta, non avrei mai creduto che un giorno mi avrebbe spaventato la prospettiva di restare orfano della neve per i cambiamenti climatici.
Cercando inoltre di documentarmi sui programmi e sulle iniziative della citata ricorrenza, mi è parso che il suo scopo prevalente sia quello di studiare possibili, avveniristiche soluzioni alla carenza di neve, considerando le enormi ripercussioni economiche che essa comporta; e ritengo di non essermi sbagliato perché la maggior diversi degli articoli che ho letto si occupano dei più moderni sistemi di innevamento artificiale e della loro, tutt’altro che ecologica, realizzazione.
Sia pure da profano, infatti, non è difficile farsi un’idea del devastante impatto che tali sistemi hanno già avuto ed avranno sempre di più sull’ambiente, sulle risorse idriche e sui consumi energetici; ma non sono certo in grado di affrontare temi di questa portata; ho piuttosto riflettuto alle consuete argomentazioni di tipo propagandistico per avvicinare quante più persone possibili al turismo ed agli sport invernali nonostante la crescita esponenziale dei costi. Più di ogni altra cosa mi ha meravigliato un lungo e articolato elenco di attività specifiche, adatte ai bambini e ai ragazzi: da quelle più intuitive e scontate come imparare a sciare o “costruire un pupazzo di neve” ad alcune davvero incredibili come “fare una caccia al tesoro”.
Da piccoli noi non avevamo certo necessità di questo genere di suggerimenti perché eravamo così monelli da scavare persino delle insidiose buche nella neve: che poi mascheravamo ricoprendole alla meglio e bastava poi attendere che …il malcapitato di turno ci sprofondasse dentro tra le risate di tutti; al contrario, è superfluo che ricordi la frustrazione di noi tutti quando il gelo faceva spezzare le cinghiette di cuoio che fungevano da attacchi per i nostri sci rudimentali. E pensare che ora essi sono talmente elaborati da consentire che gli sci si sgancino automaticamente anche in occasione di rovinose cadute.
A tale proposito, la mia antica passione per questo sport mi ha fatto mantenere la consuetudine di seguirne spesso le gare in televisione; mi sono reso conto così, con dispiacere, che sono sempre più numerose le località di montagna, anche abbastanza famose, in cui il perfetto tracciato delle piste con le loro reti di protezione e quant’altro contrasta in modo stridente con l’assenza di neve sul terreno circostante; né mi fanno impazzire, ad essere sincero, i moderni sistemi di trasmissione delle immagini, a mezzo di agilissimi droni che seguono gli atleti durante tutto il percorso di gara.
Sottolineando anzi, il contrasto, ricordo con molta tenerezza le remote stagioni in cui gli appassionati dello “sci alpino” si dovevano accontentare, a Capracotta, di sole 2 o al massimo 3 discese in una mattinata; era inevitabile infatti che, solo risalendo faticosamente a piedi e di traverso lungo il pendio di monte Capraro, si potesse in qualche modo battere la pista rendendola percorribile. Altro che le velocissime seggiovie o i moderni mezzi cingolati di oggi?
Come sempre, a questo punto, mi sommerge una vera e propria ondata di altri ricordi e ripenso a quanto avevo appreso, tanti anni fa, a proposito di ciò che la neve aveva rappresentato a Capracotta; mi viene in mente, in particolare uno dei termini che più mi aveva incuriosito da bambino: “la Névera”. Non si trattava di un piccolo ghiacciaio, come ritenevo, ma di una singolare e profonda fenditura tra le rocce sulla cima di monte Capraro in cui si accumulava d’inverno una quantità enorme di neve che si manteneva sorprendentemente intatta anche durante il periodo estivo; con mio grande disappunto, ricordo, non mi era stato mai possibile prenderne visione finché, quando la storica “Névera” era già un ricordo, ebbi la possibilità di raggiungere quella località.
Mi resi conto così che anche d’estate, dalla fenditura tra le rocce, proveniva una corrente d’aria molto fredda, alimentata certamente da cunicoli sotterranei, a fungere quasi da impianto di ventilazione; mi piace aggiungere poi, riportando la testimonianza di molti anziani del paese, che un signore di cui non ricordo il nome traeva persino un po’ di beneficio da quel “frigorifero naturale”. Utilizzando infatti un asinello e proteggendo la neve non so in che modo, ne riforniva chiunque ne avesse bisogno d’estate: spesso, purtroppo, come singolare “borsa di ghiaccio” per gli ammalati altamente febbrili.
Non vorrei che ora sembrasse un mio modo di dire, ma sarei davvero tentato di proseguire sullo stesso argomento, a me tanto caro, ma preferisco evitarlo per non accrescere la mia angoscia; pur augurandomi, infatti, che se ne possa scongiurare il pericolo, è grande il timore che si possa restare orfani della neve e faccio voti affinché di questa calamità climatica non facciano esperienza le nuove generazioni.
A conclusione, cercando un’espressione che esprima e sottolinei ancora una volta tutto il mio amore per la neve, mi sono giunte a proposito le parole di un giovane appassionato della nostra montagna e del Molise che si chiama Carmine Mosesso; è autore, tra l’altro, di una raccolta di versi intitolata “La terza geografia”:
“La neve non è una condizione meteorica,
né un fatto che appartiene al clima,
è figlia di invisibili frammenti che vagano nell’aria,
la polvere degli Angeli…
è un’autentica cerimonia di ricongiunzione
tra la terra e il cielo”.
Aldo Trotta