Mi ha fatto piacere apprendere che una giornalista/scrittrice ha intenzione di organizzare a primavera un convegno dedicato alle truppe polacche presenti a Capracotta durante la seconda guerra mondiale: in particolare, nel periodo immediatamente successivo alla distruzione del paese perpetrata, nel 1943, dall’esercito tedesco: quando stava per cominciare la sua ritirata verso il Nord Italia e si voleva far trovare “terra bruciata” agli alleati in arrivo.
Di recente ho avuto, inoltre, la possibilità di ascoltare una splendida conferenza dell’amico Vincenzo Di Nardo dedicata al comportamento, in quei drammatici mesi, dei diversi contingenti militari nei confronti della popolazione civile: quasi una graduatoria simbolica del loro livello di “umanità”, indipendentemente dalle operazioni di guerra; ricordando, innanzitutto, la drammatica vicenda dei due giovani concittadini, i fratelli Fiadino, fucilati dai tedeschi solo per aver dato ospitalità a militari neozelandesi. Fatta eccezione per questo gravissimo episodio, non risulta che vi siano mai stati altri soprusi o violenze di qualsiasi genere da parte dell’esercito teutonico: la cui condotta, perciò, non è stata giudicata tra le peggiori; è comprensibile, peraltro, che all’inizio, avesse prevalso un atteggiamento di estrema cautela e forse anche di pregiudizio nei confronti delle truppe che si sono avvicendate a Capracotta, ma la gente non tardò a capire che i polacchi meritavano la stima e la fiducia di tutti.
Io avevo allora poco più di tre mesi e quindi ero troppo piccolo perché ora possa fornirne testimonianza diretta, ma sono certo del giudizio assai lusinghiero della mia famiglia; non riuscirò, naturalmente, a riferirne in modo esteso e completo, ma comincio dalla mia stessa sopravvivenza: in paese infatti, dopo la sua distruzione quasi completa, in estrema penuria di tutto, erano rimasti solo un centinaio di civili tra cui mia madre ostetrica mentre io sarei certamente morto di fame senza l’aiuto e la solidarietà dei soldati polacchi.
Essi giungevano persino a privarsi delle loro razioni per non farmi mancare il prezioso “latte evaporato”: che, opportunamente diluito e ricostituito, sopperiva egregiamente alla mancanza assoluta anche di quello materno; tra i miei benefattori, secondo ciò che mi hanno raccontato, c’era un militare che era diventato padre di una bimba lo stesso giorno della mia nascita, il 3 agosto 1943 ma che, naturalmente, non aveva potuto raggiungere e conoscere in Polonia.
Si commuoveva moltissimo fermandosi a lungo per guardarmi come trasognato e chiamava affettuosamente “mamma” la nonna Guglielma, fino a far piangere moltissimo anche lei; in seguito, davvero come un figlio, si prodigò ancor di più per favorirla in diversi altri modi, insieme alla mia famiglia.
La sua generosità e quella di alcuni suoi commilitoni venivano ricambiate aiutandoli soprattutto nella loro maggiore difficoltà, quella di lavare e/o di rammendare la biancheria personale e gli indumenti in genere; fu molto apprezzato, perciò, il fatto che la mamma e la nonna riuscissero persino a sostituire il colletto usurato delle camicie. Ritagliata infatti una striscia di tessuto in basso, che veniva poi sagomata e irrigidita, la riapplicavano utilizzando l’antica macchina da cucire “SINGER”, quella che compare nella foto in allegato e che tuttora conserviamo tra i nostri più cari cimeli; quei ragazzi ebbero modo, così, di esprimere il massimo della loro riconoscenza riuscendo persino a rifornire la mia famiglia di preziosa margarina vegetale: una vera “manna dal cielo” in quel disastroso periodo.
Sorvolando ora su altri, importanti favori ottenuti grazie alla generosità di quei soldati, mi preme citarne ancora uno di estrema importanza: il dono di prodotti per l’igiene personale come delle saponette o degli ottimi antiparassitari in un momento in cui dilagavano le più disparate infestazioni; in definitiva credo si possa dire con sicurezza che, proprio allorquando si erano scatenate le peggiori pulsioni dell’animo umano come in un quel periodo di guerra, vi furono anche tante manifestazioni di solidarietà tra persone di cultura e di estrazione assai differenti.
Tornando ora a quella virtuale graduatoria morale tra soldati, non è certamente corretto estendere in automatico il giudizio di merito o di demerito alle loro rispettive nazioni di origine: tanto più basandosi su poche esperienze dirette, magari del tutto casuali; come sempre infatti, forse a maggior ragione in un teatro di guerra, il livello morale del comportamento dipende esclusivamente dalla coscienza individuale.
Personalmente ne sono convinto in assoluto, ma è comprensibile che io faccia fatica a dimenticare un episodio di tutt’altra valenza; infatti, poco prima che arrivassero i soldati polacchi, mia madre fece il tentativo di elemosinare un po’ di latte dalle cucine militari inglesi e un ufficiale, rifiutando di favorirla, le rispose in così malo modo da rendere superflua la traduzione dell’interprete:
“Signora, ne muoiono tanti in Russia di bambini, che uno più o uno meno a Capracotta, non fa alcuna differenza”.
Mi piace aggiungere, a questo punto, ciò che la mamma aveva scritto nelle sue memorie a proposito di quei ragazzi: che il giorno di Natale, approfittando della relativa tregua mentre c’era una grossa nevicata, si recò per la santa Messa nella nostra bella Chiesa, fortunatamente risparmiata dalla distruzione; la celebrava un cappellano militare polacco di cui lei naturalmente, specie nell’omelia, non riuscì a comprendere le parole; era solita ricordare spesso di quella commovente esperienza e raccontava di non aver mai più visto, in tutta la sua lunga vita, tanti giovani piangere insieme come bambini!
Avviandomi ora alla conclusione, c’è un’ultima cosa su cui non posso sorvolare; nel successivo mese di maggio 1944, si ebbe notizia della cruenta battaglia di monte Cassino ove i soldati polacchi di stanza a Capracotta erano stati inviati; si diffuse così e purtroppo il timore, mai confermato né smentito, che molti di loro vi fossero rimasti uccisi, ma io sono certo che la nonna, finché è rimasta in vita, non abbia mai dimenticato di ricordarli tutti nelle sue Preghiere. Fa davvero impressione visitare, come ho fatto io, il grandissimo Cimitero di guerra polacco, proprio nei pressi della celebre abbazia benedettina.
Per quanto riguarda me infine, sono onorato di aver reso testimonianza indiretta alla generosità di quei soldati, ma ho avuto difficoltà a trovare delle parole in grado di esprimere al meglio la mia riconoscenza; solo in questi giorni, del tutto casualmente, mi sono imbattuto nei versi della poesia “PENSA AGLI ALTRI”, un vero “manuale di altruismo”, dello scrittore palestinese Mahmoud Darwish.
Così ho pensato che non ci fosse di meglio se non riportarne alcune strofe dedicandole, come in un epitaffio, a quei benefattori di ottant’anni fa:
“Mentre dormi contando i pianeti, pensa agli altri,
coloro che non trovano un posto dove dormire.
mentre stai per tornare a casa, la tua casa, pensa agli altri,
non dimenticare i popoli delle tende
mentre fai le tue guerre, pensa agli altri,
non dimenticare coloro che chiedono la pace”.
Aldo Trotta