Negli archivi di Giannino Paglione ci sono il diario e i racconti del nonno che tra i tanti lavori era anche giornalista e corrispondente.
All’inizio del suo primo manoscritto racconta di una sua zia di nome Cam ma chiamata affettuosamente Cammuccia perché di bassa statura che era soprannominata la selvaggia o in dialetto “salvaggia” perché amava vivere nella natura, soprattutto tra i boschi, dalla mattina alla sera, come gli animali. Non aveva paura di niente e nessuno. E lottava, allontanandoli da sé, contro branchi di lupi o cani randagi -i veri pericolosi- in caso volessero attaccarla in campo aperto.
Ebbene questa donna arriverà a sposare l’unico eremita della zona, un certo Gaetano Fiadino, che viveva nell’Eremo di San Luca, in un riparo di roccia ove era riuscito a ricavare un camino e due letti a castello con delle assi di legno e con altri pezzi di legno fece una parete-staccionata come muro verso esterno.
E c’erano -e ci sono- due stanze-camere. Questa grotta-piccola caverna è posta (a circa cinque km) nel territorio del comune di Pescopennataro anche se è ai confini del comune di Capracotta. È tutt’ora visitabile. Per diversi secoli è stato un eremo quasi sempre abitato. Da adolescente con il motorino “Ciao” ci andavo spesso: mi piaceva meditare e riflettere sulla mia vita e poi a pochi metri dall’eremo si apre uno scenario incantevole sull’Abetina, sul paese Pescopennataro e in caso di sereno la vista arriva fino al mare.
Gaetano visse per molti anni lì, mangiando erbe, nocciole e altri prodotti del bosco e ogni tanto scendeva sia a Capracotta che a Pescopennataro a chiedere offerte di cibo, la lusinga. E anche a uno come lui non si negava pane e companatico. Poi incontrò Cam e scoppiò la scintilla d’amore. Da farci un film: “La Selvaggia e l’Eremita”, che storia…
Antonio D’Andrea