Le “miccule”: un simbolo della tradizione a Capracotta

Distesa di “miccole”. Foto: Le Miccole Alti Sapori

È stato di nuovo un servizio televisivo a suggerirmi l’idea di un racconto dedicato, questa volta, all’antico cereale che si chiama “lenticchia”; definita in agraria “Lens culinaris” e appartenente alla famiglia vegetale delle Fabaceae”, è davvero somigliante a una piccola lente biconvessa e da sempre è stata considerata, per così dire, la “carne dei poveri” per l’alto suo contenuto di proteine e di ferro. Attualmente in Italia ne esistono moltissime varietà caratterizzate da importanti sfumature di sapore e di colore: si va dall’arancione al grigio, passando per molte tonalità di marrone ma, da profano, non sono in grado di descriverle dal punto di vista scientifico, tanto meno quello botanico; solo un cenno, perciò, alle sue proprietà alimentari ed ai suoi multiformi benefici per la salute giacché non basterebbe un intero volume per trattarli esaurientemente tutti. Si va dalla prevenzione dell’eccesso ponderale e di alcuni tipi di anemia, all’abbassamento del colesterolo e della pressione arteriosa, alla prevenzione del diabete o di alcune neoplasie e molto altro.

Mi piace soprattutto ripercorrere la storia spicciola delle lenticchie, in particolare di quelle coltivate da secoli a Capracotta: le  nostre “micculɘ s’intende, perché così vengono tuttora chiamate nel nostro dialetto; per crescere esse necessitano di un terreno sassoso e incontaminato, tipico delle montagne dell’alto Molise e queste caratteristiche, associate all’altezza della zona di produzione, conferiscono loro un sapore inconfondibile, rendendole uniche dal punto di vista organolettico e alimentare.

Tutti conoscono il significato augurale attribuito alle lenticchie per cui molti non trascurano di consumarle all’inizio di un nuovo anno e questa tradizione risale ad epoca romana; contribuisce forse, a questa credenza, la loro vaga rassomiglianza con piccolissime monete dell’antichità, il che fa anche pensare all’auspicio di lauti guadagni. Sta di fatto che si tratta di una semplice leggenda e comunque la fama delle lenticchie non è stata sempre associata alla fortuna o alla prosperità; molti ricordano, infatti, il famoso episodio biblico di Giacobbe ed Esaù (Genesi 25,29-34):

    “Una volta Giacobbe aveva cotto una minestra di lenticchie; Esaù arrivò dalla campagna ed era sfinito.  Disse a Giacobbe: «Lasciami mangiare un po’ di questa minestra rossa, perché io sono sfinito». Giacobbe disse: «Vendimi subito la tua primogenitura».  Rispose Esaù: «Ecco sto morendo: a che mi serve allora la primogenitura?».  Giacobbe allora disse: «Giuramelo subito». Quegli lo giurò e vendette la primogenitura a Giacobbe.  Giacobbe diede ad Esaù il pane e la minestra di lenticchie; questi mangiò e bevve, poi si alzò e se ne andò”.

Non dispongo di informazioni molto attendibili circa l’origine etimologica del termine “miccula” ma sembra probabile che esso possa derivare dal latino “mica” cioè “briciola” o, meno verosimilmente, da “macula” cioè “macchia”; ho avuto comunque la sorpresa di trovarlo scritto in un lavoro internazionale di interesse agronomico e biochimico pubblicato sulla rivista “Genetic Resources and Crop Evolution” del 2012.

In una cartina dell’Italia, infatti, con i nomi delle zone in cui si coltivano le varietà più pregiate, mi ha fatto piacere vederlo associato al Molise e a Campobasso che, fino al 1963, ne rappresentava l’unica provincia; ho pensato, perciò, che tale riferimento spettasse di diritto a Capracotta perché, altrimenti, non si spiegherebbe il ricorso a un vocabolo dialettale così peculiare e caratteristico del nostro paese.  Non esiste per di più, in tutta la regione una località che porti il nome di “miccula” ma, in ogni caso, è lusinghiero pensare che questa simpatica parola, da cui forse traspare l’essenza stessa delle lenticchie, abbia poi finito per identificare l’intero territorio regionale.

Mi pareva impossibile, inoltre, che nella stessa mappa non comparisse alcuna località dell’Abruzzo e in particolare quella assai nota di “Santo Stefano di Sessanio”, piccolo paese alle pendici del Gran Sasso, in provincia dell’Aquila, città in cui ho lavorato per circa 40 anni; si trattava probabilmente, in questo caso, di un’involontaria omissione perché ho poi riscontrato che il testo di quell’articolo ne conteneva un’ampia citazione.

Riflettevo poi che in fondo, da emigrante come tanti capracottesi, ho avuto la fortuna di vivere in un posto molto rassomigliante, per il clima e le tradizioni a Capracotta che pure, anche geograficamente, è vicina al territorio aquilano; in tema di lenticchie mi commuove, infatti, il ricordo di umilissimi contadini di quelle impervie zone che non perdevano occasione per regalarmene un sacchetto; non potevano certo immaginare quanto fossi legato al valore simbolico di quel dono, proprio come mia madre molti anni prima nello svolgimento della sua attività professionale a Capracotta.

Scrivendo e ricordando anzi, mi sembra persino di rivedere la “battitura” delle lenticchie secondo l’antico metodo delle donne capracottesi che, allo scopo, sfruttavano solo il vento e la forza delle loro mani.

Sarebbe impossibile, ora, enumerare le infinite possibilità di utilizzo delle lenticchie in senso culinario: sono davvero molto numerosi i piatti italiani più o meno caratteristici e alcuni di essi, come è noto, sono divenuti il vanto di famosissimi cuochi; preferisco, perciò, cogliere questa occasione per rivolgere un affettuoso pensiero di gratitudine alle diverse persone, anche molto giovani fortunatamente, che negli ultimi tempi si stanno prodigando per restituire valore alle lenticchie, simbolo della tradizione capracottese, senza tuttavia citarle una ad una. Rischierei forse di dimenticarne imperdonabilmente qualcuna, da chi si applica con sacrificio alla coltivazione, a chi ne promuove la commercializzazione, a chi infine, ne ricava saporitissime specialità tradizionali come le classiche “sagnɘ e micculɘ” e tanto altro.

Così, cercando di resistere ancora una volta all’assalto della nostalgia, mi auguro che nessuno me ne voglia per l’incredibile assurdità del mio pensiero; sono certo infatti, in assoluto, che se mi trovassi come Esaù in un regno di cui fossi l’erede al trono, non esiterei a cedere la mia primogenitura per “un piatto di lenticchie”: le micculɘ di Capracotta, naturalmente.

Aldo Trotta

Bibliografia:

Zaccardelli Massimo et al.: “Characterization of Italian lentil (Lens culinaris Medik) germplasm by agronomic traits, biochemical and molecular markers” – Genet Resour Crop Evol 2012: 59, 727-738