Roberto Vecchioni e il rapper Alfa
Ho sempre seguito pochissimo le serate televisive del festival di Sanremo, almeno finché ho potuto svolgere la mia attività professionale; in passato, è vero, disponevo di pochissimo tempo libero, ma ero anche pregiudizialmente critico nei confronti di questo genere di manifestazioni: giudicando spesso negativamente la maggior parte delle canzoni e soprattutto i loro testi.
Ho cercato poi di cambiare il mio atteggiamento, sforzandomi di essere meno prevenuto e soprattutto di liberarmi da qualsiasi pregiudizio ed è accaduto soprattutto durante l’ultima rassegna canora dello scorso febbraio; a farmi un po’ ricredere ha contribuito il duetto, nella serata delle cosiddette “cover”, di Roberto Vecchioni con un giovanissimo, Jacopo Lazzarini, in arte “Alfa”: quest’ultimo per me assolutamente sconosciuto.
La canzone era “Sogna, ragazzo sogna” che l’anziano cantautore aveva scritto nella notte precedente l’ultimo giorno di servizio come professore di lettere nel suo Liceo classico; quella di insegnante era stata infatti l’attività prevalente di Vecchioni vincitore, tra l’altro, del festival di Sanremo nel 2011.
Ho avuto quindi l’occasione, dopo aver ascoltato attentamente la loro esibizione, di rileggere e approfondire il testo di quel brano di cui riporto qui, naturalmente, solo alcune strofe: tanto e solo per sottolinearne la potenza espressiva:
“Chiudi gli occhi, ragazzo
e credi solo a quel che vedi dentro
Stringi i pugni, ragazzo
non lasciargliela vinta neanche un momento”.
Riflettevo così a uno dei lusinghieri commenti della canzone che recita:
“si presenta come una lettera scritta a un ragazzo immaginario, a un ragazzo del futuro, ma è anche un messaggio che il Professore dedica a tutti gli studenti che si sono succeduti negli anni. La forte temperatura emotiva del brano è data proprio da questa commistione tra messaggio generazionale e dialogo interiore: l’autore sta parlando alle generazioni che verranno, ai ragazzi che diventeranno adulti, ma al contempo sta parlando anche a sé stesso e al sognatore che è stato”.
In estrema sintesi il messaggio dell’autore è indirizzato sì alle future generazioni, ai ragazzi che diventeranno adulti, ma anche ai suoi alunni di un tempo e a sé stesso con tutti i sogni di quand’era giovanissimo:
“Piccolo ragazzo
nella mia memoria
tante volte tanti
Dentro questa storia
non vi conto più”;
mi piacerebbe tanto scrivere un commento dell’intero testo, ma sarei presuntuoso se anche solo tentassi di farlo; preferisco esprimere, perciò, il mio compiacimento per aver appreso in questi giorni che due studenti del Liceo di Lamezia Terme, Francesco Maione e Lorenzo Colistra, hanno realizzato un progetto originale e quanto mai suggestivo: tradurre in greco antico quel brano.
Così sono tornato anch’io, virtualmente, sui banchi del mio vecchio Liceo classico, il “Mario Pagano” di Campobasso, riscoprendo tutto il fascino di questa lingua antica: cui mi sento debitore anche per il suo innegabile ruolo nella mia preparazione professione; sono così davvero impaziente di riascoltare la canzone nella sua nuova, incredibile versione, ma intanto è doveroso che riporti testualmente il commento del professor Francesco Polopoli per il lavoro dei suoi alunni a Lamezia Terme:
“Un mix di classico e di contemporaneità, “per sottolineare l’attualità dell’antico attraverso la talentuosità dei giovanissimi. Nella lingua degli antichi Greci possiamo riportare indietro nel tempo testi del repertorio musicale per procedere in avanti sul gusto delle memorie che ci accompagnano da sempre, pur precedendoci”.
In definitiva la traduzione di “Sogna, ragazzo sogna” è un esempio di come le lingue classiche possano essere utilizzate per trasmettere messaggi universali e senza tempo; non sembra casuale, oltre tutto, che a cimentarsi in questo impegno siano stati due giovani della Calabria, una regione in cui storicamente è stata maggiore l’influenza della cultura ellenica.
Mi è apparso, inoltre, come un segno premonitore il fatto che il nome d’arte del giovanissimo cantante esibitosi nella cover di “Sanremo” fosse “Alfa”, proprio come la prima lettera dell’alfabeto greco.
Avviandomi ora alla conclusione, aggiungo un’altra considerazione evocata non tanto e non solo dalla canzone in sé stessa, quanto e soprattutto dal duetto di due artisti appartenenti a generazioni diverse: come quella di un nonno e di un nipote; e mi piace ricordare che alcuni mesi or sono, alla vigilia del suo ottantesimo compleanno, Vecchioni aveva preannunciato l’uscita imminente di un libro intitolato “Tra il silenzio e il tuono”: guarda caso, proprio un epistolario confidenziale con suo nonno. Tutto ciò mi ha fatto anche ripensare alle numerose occasioni in cui il tema del rapporto intergenerazionale è stato oggetto delle omelie di Papa Francesco il cui insegnamento si riassume, a mio giudizio, in questo splendido messaggio:
“Se i giovani si aprono alla riconoscenza per ciò che hanno ricevuto e i vecchi prendono l’iniziativa di rilanciare il loro futuro, niente potrà fermare la fioritura delle benedizioni di Dio fra i popoli!”
Così, pur accarezzando il sogno di una nuova alleanza tra le generazioni, ho il timore di non riuscire a farne partecipi come vorrei i miei cari nipoti; lascio perciò che a interpretare il mio pensiero siano proprio le parole di Roberto Vecchioni, un ragazzo di… ottant’anni come me:
“Sogna, ragazzo sogna!”
“Ti ho lasciato un foglio
sulla scrivania
Manca solo un verso
a quella poesia:
Puoi finirla tu”.
Aldo Trotta