Reminiscenze di gastronomia  (e non solo!) a Capracotta

Non posso certo definirmi esperto dei moderni sistemi di comunicazione audiovisiva di cui penso che, tra gli anziani, sia tuttora modesta la diffusione; ciò nonostante, sebbene con molte perplessità iniziali, mi sono reso conto non solo della loro utilità per le notizie, ma anche e soprattutto per la rapidità di collegamento interpersonale; molto gradualmente, inoltre, ho apprezzato anche il beneficio di farmi  sentire meno a disagio nell’isolamento attuale: certamente più psicologico che reale, ma sempre deprimente in una fascia di età avanzata come la mia.

Mi soddisfa, in altre parole, tenermi informato di molti avvenimenti che viceversa, come accadeva in passato, mi sarebbero sfuggiti; si aggiunge inoltre il vantaggio di un maggiore coinvolgimento, sia pure virtuale, in diverse iniziative riuscendo anche a rivivere esperienze remote con la netta impressione di poterle riattualizzare nel presente.

Mi capita soprattutto in occasione di eventi o manifestazioni che riguardano il mio caro paese di nascita, Capracotta, in cui mi ero illuso di poter tornare stabilmente una volta conclusa la mia attività professionale: al contrario e purtroppo, come nel titolo di un vecchio film, ho dovuto malinconicamente convincermi che:

“I sogni muoiono…all’alba!”.

Ripensavo al 1937 quando, senza aver neppure avvertito mia madre giunta da poco come ostetrica a Capracotta, arrivò dall’Emilia-Romagna la nonna Guglielma; e, guarda caso, una delle prime informazioni di interesse culinario che le diedero, fu che in paese non si poteva utilizzare della carne di vitello o comunque vaccina semplicemente perché non faceva parte della tradizione locale.

Perciò la mamma, forse già rassegnata a rinunciarvi, si meravigliò rientrando un giorno a casa dopo aver assistito a due parti nella stessa notte; faceva bella mostra di sé, sul tavolo, una sottilissima sfoglia di pasta all’uovo già distesa, mentre un invitante profumo di brodo si sprigionava dalla pentola. Neanche il tempo della sorpresa che la nonna, anticipandola, le fece credere di aver incaricato un simpatico compaesano di acquistare a Campobasso della carne vaccina: si trattava infatti dell’autista che assicurava il collegamento in autobus con il capoluogo del Molise.

Per dare, inoltre, maggiore credibilità delle sue parole, aveva aggiunto:

    “Tra l’altro, con la neve di Capracotta, c’è persino il vantaggio di poterla conservare a lungo, meglio che in un frigorifero”.

E fu così che la mamma, trangugiati con grande appetito due piatti colmi di taglioline si sentì rivolgere, al tempo stesso, una domanda e una risposta:

Vuoi proprio sapere che tipo di carne ho adoperato per preparare la minestra in brodo che hai appena gustato? Ti confesso di averti detto, una pietosa bugia perché in realtà il brodo è di pecora: ma ho avuto la netta impressione che ti sia piaciuto moltissimo”.

Col senno di poi pertanto, non sorprende che da tanti decenni sia meritatamente conosciuta e famosa la sagra di Capracotta che si chiama “La pezzata”; quest’ultima, che si tiene ogni anno nella prima domenica di agosto, prende il nome proprio dalla carne di pecora cucinata in brodo nei caldai secondo l’antica ricetta dei pastori.

Per restare in tema, proprio in questi giorni, ho appreso di un inguaribile “sognatore” di nome Valerio Berardo che, dal paese di Duronia (CB) ha condotto per il pascolo estivo il suo gregge di capre a… Capracotta; sembra un gioco di parole, ma le immagini in video e in voce di questa moderna transumanza mi hanno sinceramente emozionato facendomi tornare in mente quelle storiche del passato che io stesso, qualche volta, ho cercato di evocare.  

Si riaccende così la speranza che, in parallelo con il recupero di antiche tradizioni, si possa pian piano assistere a una vera e propria rinascita del nostro paese: cominciando magari dalla riduzione di quel destruente fenomeno sociale che va sotto il nome di spopolamento; sembra molto lusinghiero infatti, a corollario di questo genere di progetti, anche l’entusiastico avvio di alcune iniziative complementari.

A questo punto, per semplice associazione di idee, il mio pensiero è corso alle antiche consuetudini di una volta, che pure non si possono certo resuscitare per magia; mi hanno molto interessato, in particolare, alcuni servizi televisivi dedicati alle tradizioni alimentari che risalgono al periodo dell’antica civiltà agropastorale.

Ho letto perciò, con attenzione, un bell’articolo dell’amico Pasquale Paglione comparso inizialmente sulla rivista “Voria” nel 2008 e poi nuovamente pubblicato dagli “Amici di Capracotta” nel 2022; e non mi vergogno di confessare che ricordavo a mala pena la parola “muscisca”, che deriva forse dall’arabo “musammed” e che significa letteralmente “cosa dura”. 

Si tratta in fondo, come è noto, di carne di pecora essiccata sulla cui preparazione piuttosto lunga e laboriosa, non posso certo soffermarmi: tranne che per citare un termine pressoché sconosciuto, quello della cosiddetta “vruccatura”; ho appreso solo adesso, infatti, che consisteva nell’impiego di un particolare supporto ligneo fatto di “rami e rametti a mo’ di stecche” per sostenere la carne da asciugare all’aria aperta.

Tutto ciò mi ha fatto anche tornare in mente un singolare episodio che raccontava mia madre; vivendo infatti da poco tempo a Capracotta, si trovava un giorno nel quartiere di San Giovanni insieme a una sua collega ed amica che, eccezionalmente, le aveva fatto visita. Capitò loro di osservare una vera e propria distesa di “muscisca”, naturalmente senza sapere di cosa si trattava e decisero perciò, superando l’ostacolo del dialetto, di interpellare una “nonnina” seduta al sole davanti alla sua abitazione: che, molto gentilmente, decantando anche a gesti la squisitezza di quel cibo, gliene offrì un pezzo per ciascuna; la mamma e la sua amica si allontanarono poi velocemente, ringraziando, nel tentativo forse di dissimulare la loro istintiva riluttanza ad assaggiarlo.

Si ripropone, così, il tema delle antiche tradizioni gastronomiche capracottesi, tutte certamente scaturite da un substrato culturale ed economico di grande semplicità per non dire, spesso, di estrema povertà; personalmente rimpiango moltissimo le celebrazioni festive casalinghe, in cui gli invitati si sedevano su panche improvvisate, fatte con tavole di legno poggiate sulle sedie.

Si attendeva il passaggio in corteo di tre improvvisate cameriere: la prima con un grande canestro colmo di pane fresco, la seconda con un vassoio enorme di prosciutto affettato e la terza infine con tante fette di caciocavallo; era l’incredibile menù di allora e non si doveva certo scegliere tra decine di portate né, tanto meno, restare seduti per ore come sembra obbligatorio fare adesso nei moderni ristoranti.

Ciò nonostante e quasi paradossalmente, da un ambiente che più semplice di così sarebbe difficile immaginare sono emersi, anche in passato, diversi personaggi che hanno davvero fatto onore all’arte culinaria capracottese.

Avviandomi ora alla conclusione, è dei giorni scorsi la notizia che un giovanissimo “chef” nostro concittadino, che si chiama Ermando Paglione, è stato selezionato dalla “Federazione Italiana Cuochi” per rappresentare l’Italia ai campionati mondiali di cucina che si svolgeranno nel prossimo mese di ottobre a Singapore.

Qualcuno potrebbe forse commentare, con sedicente ironia, questo annuncio affermando:

“altro che Muscisca o Pezzata!”.

Sono certo che non sarà così ma, se per ipotesi accadesse, io non esiterei a smentirlo richiamandolo al grande rispetto che meritano le nostre tradizioni e non solo quelle gastronomiche:

“Grazie di cuore agli antichi pastori di Capracotta e ai nostri antenati che ce le hanno tramandate!”

Aldo Trotta