Una variante capracottese della “saudade” portoghese

Augurandomi che non si risvegli più ad ogni occasione la mia struggente nostalgia per Capracotta, il paese in cui sono vissuto fino a 16 anni, non  posso continuare a credere che questo sentimento significhi solo dolore per la perdita irrecuperabile di quel luogo; d’altro canto, pur non essendomi applicato allo studio della psicologia clinica, ho sempre escluso che lo si potesse etichettare come “malinconia patologica” o, ancor peggio, come “sindrome depressiva”: pur non dimenticando la coesistenza di diversi fattori negativi come la fascia di età avanzata, la cessazione dell’attività professionale e altri.

A pensarci bene, non ho mai neppure avvicinato la mia condizione a quella storica dei “soldati svizzeri” che soffrivano per l’allontanamento dalla loro patria, evento da cui ha preso origine la stessa parola “nostalgia”; in ogni caso, confesso di essere rimasto molto perplesso quando, nello sforzo di analizzare il mio stato d’animo, mi sono imbattuto nel termine portoghese saudade”: che ho cercato quindi di approfondire.  

Questa parola può anche rappresentare ciò che proviamo ricordando un luogo desiderato in cui sappiamo di non poter tornare ma, in realtà, esprime un concetto assai più articolato e complesso in cui, paradossalmente, la tristezza e la gioia si uniscono; è stato quindi inevitabile, da parte mia, cercare di acquisire altri elementi di conoscenza della saudade perché è difficile convincersi che sentimenti di segno così opposto possano coesistere nella stessa persona e nello stesso momento.

Ci sarebbe in altri termini un’incredibile, non secondaria componente di piacere in questo stato d’animo il che spiegherebbe in parte il motivo per cui la parola saudade è stata, in effetti, considerata un termine intraducibile in altre lingue eccetto quella portoghese; alla luce della critica, infatti, è un grossolano errore aver considerato ad esso equivalenti sia il nostro vocabolo di “nostalgia”, sia e soprattutto quello tedesco di “sehnsucht” (alla lettera “desiderio”) e molto si potrebbe scrivere circa la sua origine etimologica: a cominciare dalla parola latina “solitas” (solitudine) che pure non sembra godere di molto credito.

 Alcuni pensano a una possibile relazione con parole arabe che significano malumore o sconforto, mentre altri la correlano al passato di esploratori o al carattere malinconico dei portoghesi e, ancor più, alla loro “tradizione migratoria”; ed è proprio quest’ultima ad avermi fatto maggiormente riflettere perché non c’è dubbio che sembri assurda la ricerca di affinità tra un popolo di naviganti come quello portoghese e uno di montanari come il nostro capracottese.  Ritengo, così, che possa averli avvicinati la storica necessità di abbandonare la propria terra, sebbene con modalità e tempi sostanzialmente diversi.

Ho anche ipotizzato che sia stata la comune esperienza di vita nella “solitudine” ad accomunare le due popolazioni: uomini di mare da una parte e pastori o carbonai dall’altra; e questa idea mi è parsa ancor più sostenibile rileggendo il bel libro dell’Associazione Amici di Capracotta, intitolato “A la Mèreca”, contenente la storia di molti emigranti oltreoceano. Essi raccontano della “nostalgia” ma, ferma restando la tristezza di fondo, ho avuto la netta impressione di ravvisare anche una componente gioiosa nei loro ricordi come sta accadendo a me, io credo, e fino al punto che mi sentirei di attribuirne il beneficio proprio alla saudade.

Ho idealmente rivissuto così, l’unica occasione in cui diversi anni or sono mi era stato possibile visitare la città di Lisbona; c’era uno splendido sole e una piacevolissima temperatura quel giorno ma, in tutta sincerità, non mi sentivo molto disposto a goderne, stante la mia atavica avversione per il mare, con il suo clima, e le città costiere in genere.

Non ebbi certamente tempo sufficiente per scoprire, come avrebbero meritato, le bellezze di quella splendida capitale lusitana né, tanto meno, di conoscere lo spirito dei suoi abitanti, ma sono certo di aver inconsapevolmente percepito qualcosa di ineffabile; e pensare che solo di recente ho appreso che vi si trova un’antica, caratteristica viuzza chiamata “Rua da Saudade” per cui, ad esempio, si legge:

   “dall’alto di questa piccola strada lo sguardo abbraccia tutta la città, l’enorme foce del fiume Tago e, poco più avanti, l’oceano con il suo infinito

orizzonte. Il momento migliore è naturalmente, il tramonto, proprio l’ora che, secondo Dante Alighieri, volge il disìo ai naviganti e… ‘ntenerisce il core…”.

Ora, secondo la singolare definizione contenuta in un brano del musicista Gilberto Gil,

   “la saudade è la presenza di un’assenza, un No che diventa un Sì, un’oscurità che dà luce, una visione dell’invisibile, una capsula che si chiude lasciando intravedere, con una serie di paradossi, uno strano sentimento che infonde piacere e sofferenza al tempo stesso.

Così nei giorni scorsi, come altre volte, c’è stata imprevedibilmente l’occasione di ripensare a tutto ciò; ho avuto infatti il piacere di osservare un dipinto del giovane artista capracottese Enzo Di Rienzo che, guarda caso, raffigura mirabilmente il famoso tram numero 28 nel centro storico di Lisbona, proprio nei pressi di “Rua da Saudade”.

Proseguendo, perciò, il tentativo di fare chiarezza nei miei pensieri, non mi è parso pretestuoso né irriverente accostare i caratteri della mia e della nostra nostalgia a quelli, davvero straordinari, della saudade: ricordo infatti che già in un altro racconto dedicato allo stesso tema, avevo idealmente attribuito il nome di “Rua da Saudade”, nel nostro gergo “Rufa”, alla gradinata che in paese scende verso la mia vecchia casa.

È possibile che istintivamente, da profano di linguistica, io sia rimasto molto impressionato per la rassomiglianza delle parole “Rua” e “Rufa”, ma non sarei sincero se negassi ora di sentirmi lusingato dal pensiero che esista una “variante capracottese” della “saudade portoghese”; se così fosse, tuttavia, mi dispiacerebbe arrendermi all’idea che anche a Capracotta non ci sia una parola dialettale in grado di definire questo arcano sentimento: sarei davvero felice che esistesse.

Aldo Trotta