A Signórǝ caccia l’uócchiǝ a chi nǝ tè unǝ

Una vecchia foto di Piazza Stanislao Falconi. Archivio: Franco Valente

Questo strano motto caratterizza un ignobile comportamento di un capracottese che seduto in piazza Stanislao Falconi abitualmente si divertiva a fare sue sciocche considerazioni sui passanti, a volte a bassa voce ed a volte alzando la voce per far sì che chi era bersaglio delle sue scempiaggini ascoltasse.

Ne aveva per tutti, per chi era basso e chi era alto, per chi era magro e chi era grasso, per chi camminava sbilenco e chi zoppicava, per chi partiva e chi tornava, per chi era sposata e chi era zitella, per chi era un fedele marito e chi tradiva, per chi era bella e chi era brutta.

Insomma, dal suo particolare osservatorio partivano strali per tutti.

I compaesani lo ritenevano un buono a nulla che spifferava sentenze a raffica senza rendersi conto di quello che diceva.

Era dunque lo scemo del villaggio, figura che quasi sempre era presente e lo è ancora oggi nei piccoli paesi.

E quando un giorno passò in piazza un compaesano che aveva subito un incidente che gli aveva danneggiato irrimediabilmente un occhio, non trovò altro da dire, che esclamare «A Signórǝ caccia l’uócchiǝ a chi nǝ tè unǝ» (Signore cava l’occhio a chi ne ha uno).

E questo motto ascoltato dai presenti ed anche dal povero cieco fece il giro del paese ed acuì ancor di più il risentimento verso questo ignobile cittadino che per giunta si vantava delle sue sciocchezze!

Ci restò male anche il povero cieco che, nonostante la sua infermità, continuava nella sua vita di ogni giorno, non dava fastidio a nessuno e né era un peso per la collettività.

Celestino Di Nucci-Domenico Di Nucci

Domenico Di Nucci (a cura di), E mó vè maiiǝ auannǝ! Pillole di saggezza popolare capracottese, Amici di Capracotta, 2020