Archivio fotografico: Cav. Giovanni Paglione. Rielaborazione grafica: Amici di Capracotta APS
In Via San Giovanni, con la pavimentazione stradale a “zippe” sistemati in modo irregolare, davanti l’uscio di casa una signora sorridente ha steso per terra un telo di canapa e sta eseguendo quella che veniva detta “la concia” con una “crevèlla” (grande setaccio) per ripulire le granaglie e i legumi che poi versa in un secchio di zinco. Completano la bella immagine una bimba e un caratteristico posto a sedere formato da blocchi di pietra squadrate.
La signora, come tutti quelli che lavoravano la terra, sta completando a casa il lavoro dei campi e fornisce lo spunto per accennare, per sommi capi, al lungo impegno necessario per poter utilizzare i prodotti agricoli; il lavoro più pesante, dalla semina al raccolto, era già stato fatto però restavano altri lavoretti in apparenza non troppo pesanti che richiedevano molto tempo e tanta accortezza.
Per quanto riguarda il grano, l’orzo e la biada, dopo la trebbiatura, una prima grossolana cernita veniva effettuata utilizzando uno speciale setaccio detto “crevellone” che eliminava soprattutto i piccoli semi delle piante infestanti; poi si procedeva ad una lavatura di tutto il raccolto che veniva steso al sole, per un paio di giorni, su robusti teli di canapa detti “racane”; infine le granaglie venivano conservate in speciali casse “re casciune de le grane” che avevano alla base caratteristiche aperture.
Le piantine di lenticchie, di fagioli, di ceci e di “revéglie” quando era giunto il momento del raccolto, venivano estirpate e trasportate a casa; venivano stese al sole per far seccare i baccelli e infine sottoposti ad una leggera battitura con un bastone formato da due pezzi collegati da una corda; i preziosi semi schizzavano letteralmente dai baccelli secchi. Poi, con una crevèlla, un tipico movimento ondulatorio-rotatorio serviva a far cadere a terra i semi piccoli e far emergere in superficie, al centro, tutte le parti vegetali.
Se necessario, approfittando dello spirare di un venticello, la crevèlla piena veniva alzata fin sopra la testa e svuotata lentamente di modo che il vento portasse via altre scorie. Prima di mettere a mollo i legumi era però necessaria un’altra accurata ispezione perché spesso pericolose pietruzze sfuggivano alle varie cernite e non era piacevole sentirle tra i denti.
Domenico Di Nucci
Fonte: AA.VV., Capracotta 1888-1937: cinquant’anni di storia cittadina nelle foto del Cav. Giovanni Paglione, Associazione “Amici di Capracotta”, Cicchetti Industrie Grafiche, Isernia, 2014