Ógnǝ nòttǝ mǝ sònnǝ la figlia dǝ Pasqualinǝ rǝ furnarǝ

Nicola Colangelo classe 1922 partecipò alla Seconda Guerra Mondiale e fino al 9 settembre 1943 fu di stanza a Grasse in Francia, in un piccolo distaccamento che presidiava una polveriera e comandato da un tenente.

La censura militare in quel periodo di permanenza nel suolo francese era molto rigida e non consentiva minimamente che nella corrispondenza dei militari con i familiari venissero inserite notizie riguardanti le funzioni militari, l’organizzazione dei distaccamenti e le loro condizioni di vita. Se ne accorse anche Nicola. Finalmente arrivò una sua lettera in cui rassicurava i familiari sulle sue condizioni di salute e tra l’altro scrisse che «Ógnǝ nòttǝ mǝ sònnǝ la figlia dǝ Pasqualinǝ rǝ furnarǝ» (Ogni notte sogno la figlia di Pasqualino Di Tella, ndr).

In effetti Pasqualino Di Tella, che aveva il forno in quel di San Giovanni poco distante dalla casa paterna sita in piazza Cacaturo, aveva una figlia che non era fidanzata. Logicamente in famiglia si credette che tra i due ci fosse del tenero e speravano al suo ritorno di festeggiare il fidanzamento.

Nicola fu catturato dai tedeschi il 9 settembre del 1943 e trattato come tutti i soldati italiani che non ebbero tempo e modo di rientrare in Italia; disarmati, trasferiti in Germania su treni, obbligati a lavorare come schiavi, derisi e bastonati. Fu liberato dagli americani e tornò a Capracotta verso la fine di giugno del 1945.

Ed allora si scoprì il vero significato di quella frase inserita in quella lettera. Anche se Grasse era molto vicino all’Italia non per questo i rifornimenti erano regolari e Nicola insieme agli altri soldati trascorreva lunghi periodi con il rancio razionato e spesso soffriva pure la fame.

Non poteva comunicarlo apertamente ai suoi genitori e così, visto che non gli mancavano le doti di fantasia, pensò di comunicare alla famiglia che ogni notte sognava la figlia di Pasqualino di Tella riferendosi alla pagnotta di pane fresco appena sfornata dal suddetto fornaio.

Geniale il suo tentativo di sfuggire alla censura che purtroppo non fu capito e la singolare frase è rimasta nella tradizione popolare capracottese.

Commento di Domenico Di Nucci, Giovanna e Cristina Colangelo

Fonte: D. Di Nucci (a cura di), E mó vè maiiǝ auannǝ! Pillole di saggezza popolare capracottese, Amici di Capracotta, 2020