Sapori perduti della cucina di Capracotta

Piatto di sagne al sugo con carne di pecora

Leggevo pagine del libro dal titolo “De re Coquinaria” (L’arte della cucina) scritto da Apicio, famoso chef latino, autore di diverse ricette per le tavole dell’antica nobiltà romana. Pagine in cui ho notato che non mancavano nei pranzi intrugli vari misti a numerose e diverse spezie utili, forse, a mascherare odori di cibo, non certo conservato in modo opportuno. Tale considerazione mi ha sollecitato la memoria gustativa e olfattiva rispetto agli antichi sapori della nostra cucina capracottese, tanto che, forse per un riflesso pavloviano, non è mancata la famosa acquolina in bocca. Memoria che è andata a diverse pietanze e specialità preparate in famiglia in modo semplice con ingredienti saporiti, naturali e gustosi, di cui è rimasto solo il ricordo, sovvenendomene alcune che riporto:

– Le sàgne (sagne) il piatto tipico, la star della tavola di Capracotta. Veloce manipolazione di farina, acqua e sale; l’impasto e la creazione di una sfoglia. Questa, dopo averla stesa sulla spianatoia con “ru cuannieglie” (il matterello), arrotolata su sé stessa, si tagliava, formando delle tagliatelle della larghezza di circa 3 cm e quindi si spezzavano, dando loro forma di rombi. Mentre bolliva l’acqua, alla quale si aggiungeva sale, nel “chettùre” (tegame di rame) al vivo fuoco del camino e nel “pelzenètte” (pentolino) era pronta una saporita salsa con o senza carne di pecora, queste si cuocevano, dopo aver messe alcune gocce d’olio nell’acqua per non farle attaccare tra loro. Pochi minuti per la cottura e, innevate con buon formaggio pecorino, pronte in tavola per essere gustate. Era la buona qualità del nostro grano, la “sarraoglia” e la “saulina”, macinato nei due mulini dell’epoca, la cui farina costituiva prezioso elemento per preparare un delizioso piatto di pasta a livello domestico. 

– Pizza che rr cécre (torta con i siccioli): impastare la farina con acqua, meglio se tiepida con sale, fino ad ottenere una pasta morbida ed omogenea; aggiungere a questo formaggio e siccioli di maiale, ottenuti dopo aver prodotta la sugna dal lardo, oppure facendo friggere pezzi di pancetta o piccoli pezzi di carne suina e infornare.

– Pascta a la chetàrra (pasta alla chitarra): intridere farina, uova, sale; dopo avere amalgamato il tutto e lavorato l’impasto, stendere la sfoglia sulla spianatoia “ch ru cuannieglie” (con il matterello) e appoggiarla su un arnese a forma rettangolare con telaio di legno, tipo arpa, su cui sono tesi numerosi fili di acciaio, sui quali con debita pressione del detto matterello la si taglia, ricavandone gli spaghetti. Dopo averli scaldati e conditi con ottimo ragù, cosparsi di gustoso formaggio, insieme ad eventuale aggiunta di peperoncino forte, si servono in tavola.

– Pizzèlle (losanghe di pasta dolce al ferro): miscelare e impastare farina, zucchero, uova, latte, olio e buccia grattugiata di limone. Con la pasta ottenuta si procede al taglio di piccoli cilindretti che, uno alla volta, si pongono tra due piastre di ferro sagomate di un arnese con manico, che, al calore del fuoco, servono a cuocerli, ricavandone saporite sottili losanghe a forma di cancellata.

– Ceciarièglie (ceci di pasta dolce): impastare farina, latte, zucchero, olio e buccia grattugiata di limone. Con la pasta ottenuta ricavare dei bastoncini del diametro di circa un dito e tagliarli a mò di cilindretti che ricordano la grandezza di un cece; questi si friggono in padella con molto olio e, a cottura avvenuta, si cospargono con miele. Un tempo si usava prepararli a carnevale.

– Cecerchijata (insieme di ceci di pasta dolce) che, adesi tra loro con miele, a forma di un grappolo d’uva, venivano preparati parimenti in occasione delle feste di carnevale, con gli stessi ingredienti dei “ceciarièglie.”

– Supresscieàte (soppressàte di maiale): salami di maiale prodotti con carne scelta: questa si tagliava a pezzi e si condiva con sale e pepe, dopo una notte, al fresco, il tutto veniva insaccato in grosse budella, punzecchiandole al fine di far fuoruscire eventuale aria; messi sotto pressa; indi posti su una pertica in cucina a seccare e conservati, come le salsicce, tra la sugna nelle” ussìche” (vesciche suine).

– Salgiccia de fecàte (salsiccia di fegato): salsiccia che si produceva con pezzi di fegato del maiale che si mescolavano in una zuppiera con sale, peperoncino, aglio e scorza d’arancia grattugiata. Preparate le budella, punzecchiandole per far uscire aria, venivano insaccate e le salsicce, poste su una pertica, in cucina, ad essiccare e ad affumicarsi al fuoco del camino, venivano, poi, conservate nella sugna.

Piaceri del palato a tavola che non si provano più e che si cercano, rinnovandoli con gli ingredienti oggi disponibili, senza però mai raggiungere quel tanto agognato sapore di cibi dei tempi passati.

Felice dell’Armi