Un musicista capracottese dimenticato: Claudio Conti (1836-1878)

Per la qualità, insieme all’orgoglio della nostra stirpe e per l’esistenza di tanti diversi personaggi illustri capracottesi nei vari rami dello scibile umano, è auspicabile, anche quale atto d’amore verso la propria terra, che di queste figure scomparse si perpetuasse il ricordo, non collocandole nel dimenticatoio collettivo e cancellarle, così, dalla memoria comune.

Di un musicista capracottese dimenticato Claudio Conti ne parla, in uno scritto del 1916, il filologo e critico letterario Francesco D’Ovidio (Campobasso 1849-Napoli 1925) pubblicato nel 1990 in un volume dal titolo “Francesco D’Ovidio -scritti scelti, raccolti e commentati da Renato Lalli” – Ed. Samnium- CB.

Si apprende che del grande compositore e operista Giuseppe Saverio Mercadante (1795- 1870) direttore del Conservatorio San Pietro a Maiella di Napoli, era “discepolo prediletto” Claudino, Silvano Conti, figlio di Raffaele, nato a Capracotta il 3/12/1836, morto a Napoli il 1878. Questi frequentò il medesimo Conservatorio a Napoli divenendone, poi, anch’egli direttore; di costui il D’Ovidio dice che “il giovane Maestro faceva parlare molto di sé”; “componeva molte cose, d’ogni genere e fece anche un’operetta dal titolo” La figlia del Marinaro.” Dava fuori molta musica da camera”.

L’Autore ricorda d’aver ascoltato, da un’incantevole voce femminile, una sua “bella aria”. Sempre celebrando, con sublimi parole il Maestro, D’Ovidio fa riferimento alla serata di gala al teatro San Carlo di Napoli dove, in occasione della nascita nel 1869 dell’erede al trono il futuro Vittorio Emanuele III° di Savoia, fu suonato” l’Inno Corale” da lui composto alla presenza del Re Umberto I° e della Regina Margherita: “l’entusiasmo fu grande”.

D’Ovidio afferma: “un’intima soddisfazione provavo pensando che quel mio corregionale, che dava così belle speranze di sé, sarebbe forse un giorno divenuto celebre nel più bel senso della parola. Ma a 43 anni egli morì e quell’oblio che vela l’opera del suo celebrato maestro ha del bravo discepolo quasi sommerso perfino il nome”! Continua il D’Ovidio dicendo che “poco conobbe della sua musica”, e si addolora pensando alla sua immatura morte; ricorda che il Nostro “soleva far omaggio al Conservatorio di un autografo di quanto” veniva componendo”, mettendone in evidenza gli elevati sentimenti Riporta ancora che  il Conti ebbe amici carissimi e con questi vi fu cordiale corrispondenza epistolare “ conservata da Oreste Conti, quel medesimo che ha bellamente raccolto i canti e racconti e versi idiomatici e costumanze della sua Capracotta”. Lettere inviate in vari anni al Maestro dai suoi amici nelle quali si legge l’apprezzamento per i suoi componimenti; in una gli si chiede il permesso di eseguire una sua” Messa” e da Firenze il Duca Clemente gli scrive per dirgli che un suo pezzo “La Visione” (canto e quartetto) era stato” molto applaudito”.

In una pagina del suo scritto, l’Autore afferma che vorrebbe che “rivivesse il ricordo pietoso del giovane Maestro precocemente sparito”.

Condividendo quanto espresso dal D’Ovidio, mi piace riportare questa sua esortazione:

“O giovani, amate questa nostra Terra natale, Amatela, benché modesta! Amatela perché modesta! Tenete sveglio deliberatamente in voi l’affetto per ogni sua gloria passata, per ogni sua benemerenza presente, per ogni sua speranza futura”.

Circa le lettere prima citate, ho avuto il piacere di leggerle riportate sul giornale “Il Mattino” di Napoli dal 3 al 23 marzo 1914. Lettere scritte dal 1856 al 1878 che Oreste Conti, parente del nostro Claudio, consegnò a Francesco D’Ovidio, allora collaboratore del detto quotidiano. Missive inviate da illustri colleghi musicisti e compositori, tutti operanti presso il Regio Conservatorio Napoletano: Francesco Florimo (1800-1888), Paolo Serrao (1830- 1907) e Giuseppe Saverio Mercadante (1795-1870), estimatori ed ottimi amici del Conti. Costoro principalmente in esse descrivevano circa gli incontri avuti in varie capitali europee (Parigi, Praga) con insigni Maestri (Rossini, Verdi) e famosi soprani dell’epoca. Di tali lettere dello stesso autore, in particolare, mi soffermo su tre di esse per il loro diverso tenore: quella del 9/10/1856 in cui il Maestro Mercadante di ritorno da Capracotta a Napoli, dopo una visita al collega Claudio, scrive che: ”ero certo che l’aria nativa avrebbe, come altre volte, subito migliorata la vostra salute, ma debbo lagnarmi del vostro Sindaco che non mantiene le strade praticabili con la Capitale per poter trasportare qualche cosa. Bisogna convenire che Capracotta è più distante dell’America”; – congratulazioni per la migliorata salute dell’amico, insieme all’evidenza di un disagiato viaggio; -quella del 19/8/1857 in cui scrive”: …moglie e figlia ti ringraziano per quei piccoli salami che hai mandato, ottimi frutti di dispensa” – le salsicce furono molto gradite in casa Mercadante-; quella del 18/3/1858 in cui scrive “…morbo fatale”, in riferimento allo stato di salute del nostro Claudio. Molto verosimilmente  il Conti, per quanto letto nelle lettere del 1856 e in quella del 1858, è da credere che fosse affetto dal “ mal sottile”, ossia da tubercolosi  che lo portò a morte a 43 anni. A chiusura, rifacendomi al riferito invito di D’Ovidio, possa la lettura di queste brevi note tradursi in incitamento ed auspicio, affinché vengano risvegliate dai loro lunghi sonni, tutte quelle illustri glorie che hanno sommamente onorato il nostro paese e l’hanno reso grande nel mondo.

Felice dell’Armi