Aldo Trotta e la moglie Anna
È trascorso un anno dalla scomparsa di mia moglie Anna con cui avevo condiviso 52 anni di matrimonio e nel primo anniversario dalla sua dipartita mi ritrovo da solo, per la prima volta, nella vecchia casa paterna di Capracotta che mi ha visto nascere il 3 agosto 1943; il caso vuole, oltre tutto, che stia scrivendo in quella che tanti anni fa era solo una grande soffitta in cui si accatastava l’enorme provvista di legna da ardere: davvero indispensabile per il rigido inverno di una volta.
Divenuta adesso una confortevole mansarda, si trattava allora di un sottotetto quanto mai disadorno alle cui grosse travi di legno mio padre Ottaviano aveva ancorato l’altalena che ha ispirato, nel 2023, il titolo di un mio libro con una sessantina di brevi racconti: in larga misura autobiografici, che avevo scritto durante gli ultimi, più difficili anni.
È naturalmente comprensibile la mia commozione in un singolare groviglio di pensieri cui fa da colonna sonora, in questo momento, il rumore della pioggia battente per un grosso temporale estivo; ripensavo alla lunga e grave malattia neurodegenerativa di Anna, ancor più penosa di recente, per cui si potrebbe pensare che non ci si accorgesse ormai della sua presenza; negli ultimi anni, infatti, era stata costretta a vivere tra letto e sedia a rotelle, del tuto immobilizzata e per di più, essendo divenuta del tutto afasica, senza neppure potermi chiamare per nome.
Tutto questo, invece, aveva fatto sì che le mie giornate fossero scandite dalle sue sempre maggiori esigenze assistenziali per cui non bastava la presenza, 24 ore su 24, di una collaboratrice familiare; ma, davvero incredibilmente, ho sempre avuto l’impressione che ci fosse rimasta la possibilità di comunicare minimamente: anche solo con uno sguardo.
Non ho alcuna esitazione ad ammettere, sia pure con le attenuanti dovute alla mia attività di medico ospedaliero, che avevo lasciato quasi tutte le incombenze gestionali della nostra famiglia a mia moglie: il cui oneroso impegno si sovrapponeva alla sua attività di insegnante; erano più che giustificate, perciò, le sue pacate ma decise rimostranze quando, fin dai primi anni, avevo cominciato a soprannominarla “IBM”: che significa “International Business Machines Corporation”, una delle prime aziende internazionali nel settore dell’informatica.
Non è poi esagerato confessare che, ben presto, si era trovata a governare l’intera mia “agenda quotidiana”, pur non riuscendo a nascondere il suo disappunto allorquando, parafrasando lo spot pubblicitario di una celebre industria, arrivavo persino ad attribuirle lo scherzoso appellativo di “elettroaddomesticato”: ma nelle mie parole, sono sincero, non c’era alcuna traccia di antifemminismo”; il mio era solo un modo abbastanza puerile di riconoscere, da persona con la testa fra le nuvole, che non avrei mai potuto competere con lo “spirito pratico” di Anna.
Così, solo nell’anno appena trascorso ho sperimentato quanto fossero complicate e faticose molte delle incombenze, anche le più elementari, cui in passato mi ero sottratto; e tutto ciò mi torna in mente proprio ora, quando mi rendo dolorosamente conto della mancanza di Anna e rifletto ai versi di una poesia di Giuseppe Ungaretti intitolata “Per Sempre”: che le avevo già dedicato, ma non considerando che fosse stata scritta nel primo anniversario dalla scomparsa di sua moglie.
È questa la ragione per cui, desiderando approfondirne il significato profondo, ne riporto di nuovo, sia pure parzialmente, il testo:
“… e a poco a poco in cima
alle braccia rinate
si riapriranno mani soccorrevoli.
Nelle cavità loro
riapparsi gli occhi, ridaranno luce,
e, d’improvviso intatta
sarai risorta, mi farà da guida
di nuovo la tua voce.
Per sempre TI RISENTO”.
Così, facendomi forse cullare dalla vecchia “Altalena dei Ricordi”, quasi non mi accorgo che si sta allontanando il temporale; e “RISENTO” la tua voce, Anna, squillante e giovanile come un tempo, che mi fa gioire perché sei tornata a farmi “da guida”: non potevi certo consentire che restassi tanto confuso e impacciato.
Ora, mentre nella Fede si alimenta la Speranza che tu abbia meritato il premio finale promesso ai giusti, sono sicuro che finché vivrò non mi verrà a mancare il tuo ineffabile aiuto pratico: le tue “braccia soccorrevoli” che pure so di non aver meritato.
Ti abbraccio.
Aldo Trotta