Una passeggiata ogni mattina… al cimitero di Capracotta

Ricordo che già molto tempo fa mi aveva lasciato perplesso il commento di un libro di Giuseppe Marcenaro intitolato “CIMITERI – Storie di rimpianti e di follie” e queste sono le sue parole iniziali:

“Non luogo per eccellenza, in realtà il

Cimitero è una realtà vitalissima”,

di cui forse, solo adesso, ho compreso il significato.  Nel primo anniversario dalla scomparsa di mia moglie Anna, infatti, sono riuscito a soggiornare per alcune settimane a Capracotta, il paese che mi ha visto nascere ed è stato così possibile che mi recassi ogni giorno a visitare la sua tomba, nella nostra Cappella del Cimitero.

Incontrando diversi vecchi amici mi sono reso conto di quanti, come me, facevano ogni giorno la stessa passeggiata, quasi un piccolo pellegrinaggio quotidiano; c’è stata quindi occasione per condividere il nostro stato d’animo e i nostri sentimenti riconoscendo non senza rammarico che ora, purtroppo, sono molte di più le persone che ci sorridono dalle sbiadite fotografie dei loculi, piuttosto che quelle viventi.

Il discorso è quindi, inevitabilmente andato al progressivo e forse inarrestabile fenomeno dello spopolamento che colpisce moltissimo le comunità di montagna: e mi ha molto impressionato, per il suo estremo realismo, la considerazione di uno dei più cari coetanei; escludendo questo breve, affollato periodo estivo di agosto, mi diceva, in altri mesi è assai deprimente percorrere di sera le strade del paese; in moltissime case non c’è più nessuna finestra illuminata e bisogna venire al Cimitero perché si possano trovare tante luci sempre accese.

Mi sono poi rammentato di un altro libro che, finora, avevo letto solo parzialmente; si intitola, guarda caso, “Passeggiate nei piccoli Cimiteri”, dello scrittore Claudio Visentin che dice, tra l’altro:

   “Chi ha tracciato i sentieri e le strade? I morti. Chi ha dato il nome ai paesi? I morti. Chi ha costruito le case e le chiese? I morti. Chi ha disegnato le forme dei campi? I morti.

 Nei piccoli cimiteri, pertanto, i morti sembrano più presenti dei vivi”.

Si tratta di un testo di cui comunque non condivido le finalità: di visitare cioè tanti piccoli cimiteri e praticando quello che, con un brutto neologismo, è stato definito “Cimi-Turismo”; esso, lungi dal rappresentare una passione stravagante, è invece molto più diffuso di quanto si possa credere e prevede la regola di frequentare luoghi di sepoltura in cui non si trovino persone di famiglia. Queste visite sarebbero comunque importanti perché: 

   «aiutano a tornare nei paradigmi della vita avendo messo meglio a fuoco le nostre priorità” e beneficiando, per di più, del fatto che i piccoli cimiteri danno un senso di ritiro, di pace, di misura d’uomo”;

assai più vicino alla mia cultura e alla mia sensibilità è, invece,  il famoso volume intitolato “Antologia di Spoon River”, una collezione di poesie scritte da Edgar Lee Masters in cui l’autore riassume, in forma di epitaffio, la vita degli abitanti di un paese immaginario,  sepolti nel cimitero locale: molti dei quali realmente esistiti.

Se io ora ne avessi le capacità, ma purtroppo non è così, sarei tentato di emulare questo celebre esempio letterario applicandolo al piccolo Cimitero di Capracotta; in questi giorni tuttavia, sia pure non ricorrendo agli epitaffi ma semplicemente ricordandole, è stato commovente ricostruire il profilo di tante persone ormai scomparse: e non solo di quelle più note e culturalmente più in vista, ma anche di quelle più modeste e, in apparenza, trascurate.

Così, quasi prodigiosamente, è come se avessi richiamato in vita personaggi che facevano parte del mio mondo infantile e giovanile: ancor più e meglio, forse, di quanto fossi riuscito a fare scrivendo di loro in alcuni racconti; è stato inoltre emozionante ricordare che in quell’“Antologia” sono comprese alcune tra le poesie più belle riguardanti il sentimento dell’amore: in associazione, naturalmente, al suo forte, spesso doloroso confronto con la morte.

In definitiva non posso che tornare alla principale motivazione delle mie passeggiate al Cimitero, quella di far visita alla tomba di mia moglie Anna della cui scomparsa stento ancora a capacitami; del resto anche lo stesso Edgar Lee Master affermava testualmente:

“Un grande dolore della vita è che si può essere felici solo se si è in due”.

Mi soccorre per fortuna il pensiero dei Padri della Chiesa  e di molti scienziati cattolici secondo i quali due persone congiunte nel vincolo del matrimonio, non resteranno mai sole: e così ho continuato, almeno in questo periodo, a fare ogni giorno la mia passeggiata al Cimitero; mi è sembrato anzi di sfogliare idealmente le pagine di una mia rasserenante “Antologia di Capracotta”, ma non sarei sincero se negassi che è  riaffiorata anche la tristezza: che tra l’altro, ma erroneamente, ritenevo avesse ispirato anche la poesia di  Mario Scrignar intitolata “Piccolo Cimitero di montagna:

“D’inverno coperto da tormenta,
a primavera d’erba smeraldina,
l’estate con mille fior profuma,
d’autunno tutto si colora…”
.

Ho temuto, perciò, di cedere nuovamente allo sconforto fino a che, uscendo dalla nostra Cappella, il mio sguardo si è posato su un cespuglio di rose rosse in piena fioritura nonostante la calura estrema di quest’estate, anche in alta montagna; così ricordando che la parola Antologia significa letteralmente “Raccolta di fiori”, sono riuscito a sorridere: non avevo mai creduto possibile che il nostro piccolo Camposanto di montagna diventasse persino  un… “Cimitero di rose”.

Aldo Trotta