La peste del 1656 a Napoli in un dipinto di Micco Spadaro
Vincenza de Dominica, Vincenza de Stallone, Rosa de Cioce, Domenico de Iuliis, Giuseppe de Minuto, Lorenza de Rosa e Ricoletia de Ferrare.
Ai più a Capracotta, oggi, questi nomi e cognomi non dicono nulla. Eppure sono soltanto alcuni dei 27 nostri compaesani registrati tra i deceduti nell’ultimo giorno della terribile epidemia di peste che colpì l’allora Regno di Napoli nel 1656 e che, nella nostra città, imperversò per 42 giorni -dal 3 agosto al 13 settembre di quell’anno- provocando 1126 vittime su un totale di circa duemila abitanti con un tasso di mortalità superiore al 50%.
L’elenco di tutti i morti è contenuto in un grosso faldone antico- il Catalogus Omnium Rerum Memorabilium- custodito presso la parrocchia della Chiesa Madre. Per ogni defunto, sono indicati il nome e il cognome (non sempre), il luogo di sepoltura e la somministrazione (o meno) dei “sacramenti” da parte dei sacerdoti. Per il resto, non fornisce alcun tipo di indicazione sull’arrivo e sullo sviluppo della pestilenza sulle alture della Terra Vecchia. Conosciamo soltanto le sue vittime.
I primi morti sono registrati il 3 agosto: passano all’Altromondo dieci compaesani. Il primo decesso registrato è quello di un certo Giovan Battista de Nuccio. Non sappiamo, però, se sia stato il primo morto in assoluto o semplicemente il primo ad essere stato annotato come tale.
Nei giorni successivi, il morbo si diffonde tra la popolazione secondo un andamento crescente fino alla fine del mese di agosto. Poi, a settembre, la curva dei decessi si abbassa con un picco nel giorno 5 e nel giorno 13. Anche l’arciprete Pietro Paolo Carfagna viene contagiato ma si salva dopo una degenza di tre mesi. In quel periodo, i conforti religiosi sono garantiti dal sacerdote don Francesco di Nuccio, risultato immune al contagio.
Il giorno 13, in particolare, sono registrati 27 decessi. Oltre ai nomi già citati, ci sono uomini e donne riconducibili agli attuali cognomi Caporiccio, Conte, Mendozzi e Mosca.
Poi, all’alba del giorno 14 settembre, la morte e la disperazione abbandonano per sempre Capracotta. Lo scenario è devastante: molte abitazioni sono desolate; intere famiglie decimate. Alcuni cognomi spariscono. Anche il patrimonio armentizio è stato duramente colpito. La nostra cittadina impiegherà più di 100 anni per tornare ai fasti di un tempo.
Nell’anno 2015, ho avuto il piacere firmato con Domenico Di Nucci e Aldo Trotta per l’Associazione “Amici di Capracotta” un interessante opuscolo sull’argomento, “Anno Domini 1656. La peste a Capracotta”, nel quale sono state trascritte per intero, grazie alla collaborazione del parroco don Elio Venditti, le pagine del Catalogus arricchite da un approfondimento scientifico, uno storico e un apparato critico- metodologico.
La peste è stato in assoluto il peggior flagello che ha colpito Capracotta nel corso della sua storia. A differenza del novembre del 1943, quando furono distrutte col fuoco e la dinamite le case dalle truppe naziste in ritirata, nel 1656 si è rischiato la scomparsa della popolazione. Oggi, a 368 anni dalla fine di quel triste evento, tocca a noi posteri il dovere di ricordarlo se non altro per preservare e tramandare la memoria di 1126 nostri compaesani (e, in molti casi, sicuramente anche antenati) morti dolorosamente e inghiottiti dall’oblio del tempo.
Francesco Di Rienzo
P.S. È possibile leggere e scaricare gratuitamente il volume “Anno Domini 1656. La peste a Capracotta” al seguente link: