L’arrivo del Clipper nel porto di Napoli
Era il 16 gennaio 1950, un giorno che si stampò indelebilmente nel mio cuore infantile. Avevo appena 8 anni, e quel giorno rappresentava per me e per i miei compagni di scuola l’attesa più intensa e ansiosa che avessimo mai vissuto, tanto da farci dimenticare il periodo natalizio. Non riuscivamo a capire del tutto perché quel dono fosse così desiderato dai nostri genitori e dagli adulti, ma la mia fantasia iniziava a dipingere un’immagine del “Capracotta Clipper”, lo spartineve americano.
Ricordo che piovigginava e il freddo era pungente, ma, nonostante il clima rigido, l’aria era carica di una strana e contagiosa eccitazione. L’intero paese si era fermato per un evento che, in quel momento, mi sembrava quasi magico. Con il senno di poi, si può dire che anche i neonati si impegnarono molto per essere presenti in quel giorno eccezionale, infatti tre femminucce nacquero, a distanza di poche ore.
A noi bambini furono date bandierine italiane e americane; io, fortunato, ricevetti quella americana. Ci condussero fuori dalla scuola in fila e ci posizionarono sul marciapiede, in attesa dell’arrivo del nuovo spartineve. La mia memoria si sofferma principalmente sul freddo mentre rimanevo immobile su quel marciapiedi di fronte all’allora Albergo Vittoria, sotto l’occhio attento del nostro maestro.
Avevo anche provato ad immaginare questo “spartineve americano”.
Mi aspettavo un trattore più grande di quello che mi aveva descritto anni prima zio Mario; lo immaginavo con una cabina e un vomero simile, seppure più grande, a quello usato per arare il terreno.
Quando finalmente lo vidi, il “Capracotta Clipper”, rimasi colpito. Era enorme e intimidatorio! Ma nulla avrebbe potuto prepararmi a quella visione: un magnifico autocarro giallo, non cingolato, che mi lasciò a bocca aperta. Tutto mi sembrò esagerato: era troppo alto, troppo largo, troppo pesante. Ero convinto che non ce l’avrebbe fatta ad entrare in Piazza Falconi; poi c’erano le trombe potenti. Non avevo mai sentito qualcosa di simile. Sul cassone brillavano casse piene di attrezzi e ricambi, mentre le lame laterali scintillavano nella fioca luce di quel giorno di pioggia.
Ad aprire la sfilata era la banda, che suonava melodie celebrative della gioia; seguivano gli sciatori dello Sci Club, con i loro sci a spalla, che arricchivano ulteriormente lo spettacolo. Infine, arrivò il “Capracotta Clipper”. Le campane delle chiese suonavano, e un mortaio sparava una salva dopo l’altra.
Ricordo di aver cercato il volto di mio padre, ma sapevo che era impegnato con il pullman. In quel momento, tuttavia, non avvertivo la sua mancanza; ero completamente rapito dalla magia di quell’evento. Mia madre, al caldo, affacciata dalla finestra di casa sua da signorina, in posizione strategica perché incinta, seguì tutta la cerimonia di consegna: “L’ambasciatore americano James Dunn ha offerto lo spazzaneve a nome di Jersey City”.
Non ricordo molto della cerimonia che si svolse in piazza, letteralmente invasa da un’enorme folla. L’atmosfera festosa, unita alla meraviglia di ciò che stavo vivendo, restò impressa nel mio cuore per sempre.
Dopo pochi mesi, mio padre si licenziò dal servizio pubblico di autobus e assunse il lavoro presso la stazione meteorologica di Capracotta, diventando autista dello spartineve.
Costantino Giuliano
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