A fronte dei disastrosi eventi meteorologici che si sono verificati in tanti luoghi dell’Italia e del mondo, nel nostro Molise e nella regione Abruzzo abbiamo goduto di una splendida stagione autunnale: non solo e non tanto per le temperature particolarmente miti, quanto e soprattutto per le tante giornate di sole che hanno dato risalto ai colori, cangianti e vivaci, così caratteristici di questo periodo dell’anno.
Tutto ciò ha senza dubbio favorito lo spettacolo di superbi paesaggi e soprattutto di boschi maestosi che ho avuto modo anch’io di apprezzare raggiungendo le montagne del mio paese di origine, Capracotta; ho riscoperto così, dopo tanto tempo, una pianta abbastanza poco conosciuta giacché, per notarla, è necessario prestare attenzione ai tronchi d’albero già spogli, almeno in parte, del loro fogliame; solo in questo modo, infatti, si rendono evidenti i cespugli di “vischio” con le loro splendide bacche di colore bianco-perlaceo; da queste ultime che, come è noto, vengono anche utilizzate per preparare sostanze collanti, hanno preso origine alcuni modi di dire entrati nel linguaggio corrente: ad esempio “vischiosa” in riferimento a “una sostanza appiccicosa” oppure a “una persona particolarmente noiosa”.
Il vischio (“Viscum album”) è una pianta sempreverde appartenente alla famiglia delle Viscacee che si sviluppa spontaneamente nelle aree boschive d’Europa e d’America; cresce da semiparassita su molti alberi come pioppi, querce, tigli, ma anche su alcune conifere come pini o abeti. Il vischio vi aderisce attraverso radici specializzate chiamate “haustori” che infiltrano il tronco della pianta ospitante per ottenere acqua e nutrienti e questa relazione parassitaria può risultare in qualche modo dannosa, ma non è minimamente pericolosa per gli esseri umani, pur non essendo il vischio commestibile; esso ha una lunga storia di significato simbolico giacché nelle antiche tradizioni era considerato sacro e veniva utilizzato soprattutto a fini rituali e, come altre piante è stato testato per le sue proprietà medicamentose. In verità non sono stati ottenuti grandissimi risultati, ma alcuni dei suoi princìpi attivi come la viscotossina, i flavonoidi e i polifenoli, possiedono una certa attività ipotensiva, antinfiammatoria, immunostimolante e persino antitumorale.
In ogni caso, a parte questi brevi cenni, ho preferito documentarmi sulla pianta del vischio dal punto di vista della letteratura e dell’arte limitandomi, peraltro, a pochissime opere perché è davvero impossibile prenderle in esame tutte; nel VI° libro dell’Eneide (vv.133-141), ad esempio, Virgilio racconta della discesa di Enea nell’oltretomba, con la Sibilla cumana che gli ordina di procurarsi un “ramo d’oro” (cioè di vischio) per rabbonire le divinità:
«(…) “c’è, nascosto in un albero opaco,
un ramo, d’oro le foglie e il flessibile stelo,
a Giunone infernale consacrato; lo copre tutto il bosco
e di oscure valli lo serrano le ombre.
Ma non è concesso a nessuno nei segreti
della terra di scendere, se prima non abbia colto
dall’albero il germoglio con la sua chioma d’oro. (…).
Mi sentirei ora a disagio nei confronti di Giovanni Pascoli se non ricordassi anche una delle sue opere, un vero e proprio poemetto intitolato “Il Vischio” di cui mi dispiace non condividere lo spirito; nulla togliendo, infatti, alla bellezza dei suoi versi, essi mi sono parsi permeati da eccessiva tristezza: ho avuto infatti la netta impressione che, esasperandone moltissimo le conseguenze, il poeta giudichi troppo negativamente il parassitismo dell’arbusto sulla pianta ospitante:
(…) albero morto, che non curi il mite
soffio che reca il polline, né il fischio
del nembo che flagella aspro la vite…
ah! sono in te le radiche del vischio! (…).
Questa pianta è stata inoltre ispiratrice di diversi pittori come John Everett Millais che nel suo quadro, “La raccoglitrice di vischio”, sembra ricordare la leggenda per cui essa non debba mai toccare il terreno, pena la perdita delle sue magiche proprietà; una fanciulla infatti, che riposa sedendo su di una roccia, è raffigurata con il fascio di vischio tenuto scrupolosamente sulle spalle; c’è poi una favola di origine celtica che spiega anche i motivi della sua tradizione natalizia.
Essa narra così:
“questo arbusto sempreverde ci riporta alla morte di Baldr, figlio di Odino e della Dea Frigg che pregò le forze della natura, piante e animali, di non fare mai del male al figlio: dimenticandosi però del germoglio di vischio. Il dio del male Loki, che ne venne a conoscenza, costruì una freccia con rami di vischio che poi consegnò a Hodhr, fratello cieco di Baldr e questi, inconsapevolmente, lo uccise. Grande fu il dolore della Dea Frigg le cui lacrime si cristallizzarono formando le bacche perlacee di vischio che, cadendo, ridiedero prodigiosamente vita al figlio. E la dea ringraziò con un bacio tutti quelli che passavano sotto a quella pianta, ritenendola simbolo dell’amore”.
È molto verosimile, inoltre, che un’altra delle tante storie sull’origine del vischio abbia, in fondo, la stessa matrice:
“C’era una volta, in un paese tra i monti, un vecchio mercante che viveva da solo e non aveva più nessun amico; per tutta la vita era stato avido ed avaro e, per guadagnare sempre di più, si comportava in modo disonesto approfittando dell’ingenuità di alcune persone. Una notte di dicembre, ormai vicino a Natale, il mercante non riusciva a dormire e dopo aver fatto i conti dei suoi introiti, decise di uscire a fare una passeggiata; cominciò così a sentire delle voci gioiose di bambini e, a un certo punto, gli parve di sentire qualcuno che gli chiedeva aiuto chiamandolo per nome. Si rese conto, così, della povertà estrema di molti suoi vicini e si pentì improvvisamente; cominciò così a piangere e pianse così tanto che le sue lacrime si sparsero sul cespuglio al quale si era appoggiato. Lo vide quindi ricoprirsi prodigiosamente di perle che continuarono a splendere perché…era nato il vischio”. (Martina Pipitone).
Tutto ciò mi fa ricordare, con molta commozione quando da ragazzo, a Capracotta, uno dei nostri impegni prenatalizi era quello di procurare, oltre al “muschio” per il Presepio, anche del vischio; a tale proposito, è particolarmente vivo nella mia memoria il lontano inverno 1955-56 durante il quale i giornali quotidiani e soprattutto le riviste settimanali si occuparono estesamente, con numerosi inserti fotografici, delle riprese di un famoso film girato a Scanno, in Abruzzo, intitolato “Uomini e Lupi”.
Aveva fatto molta impressione che, in un periodo memorabile per la neve ed il ghiaccio per cui si congelò la superficie del suo famoso lago, a quel fiabesco paese fosse stato attribuito il suggestivo, immaginifico nome di “Vischio”: una pianta meravigliosa ancora avvolta da un alone di mistero e che, per noi ragazzi, era abbastanza difficile raccogliere; senza contare, infatti, il freddo cui ci esponevamo per riuscire a farlo, la sua ricerca comportava spesso diversi altri, comprensibili rischi. Nessuno tuttavia avrebbe potuto impedircelo perché, pregustando l’atmosfera del Natale, facevamo a gara per utilizzarlo come prezioso ornamento delle nostre case, quasi fosse realmente un “ramo d’oro”, durante le festività.
A conclusione, e non sembri puerile che lo ripeta, mi piace sottolineare come allora ci bastasse davvero poco perché fossimo felici e credo proprio che ad aiutarci contribuisse l’estrema, irripetibile semplicità di quegli anni remoti a Capracotta; così, nell’infinita, rasserenante dolcezza di questi ricordi e immaginando di avere anch’io sulle spalle un arbusto di vischio, faccio voti di ogni bene per tutti gli Amici, vicini e lontani: augurando loro, di tutto cuore, i più fraterni AUGURI di Buon Natale e Buon Anno.
Aldo Trotta