La Chiesa Madre di Capracotta. Foto: Emilia Mendozzi
Ho raccontato spesso della mia tendenza a manifestare imprevedibili oscillazioni del tono dell’umore: specie da quando ho dovuto interrompere la mia attività professionale; è pur vero che l’incalzare di gravi malattie in ambito famigliare, dapprima per mio fratello e poi per mia moglie, non mi ha neppure consentito di prenderne atto compiutamente: ma ho spesso la sgradevole impressione di essere divenuto ciclotimico e cioè di alternare periodi di pur modesta euforia ad altri di vera depressione; ed è naturalmente quest’ultima, pur giudicandola “reattiva”, a preoccuparmi maggiormente; ma non voglio apparire noioso tornando alla delusione per non aver potuto fare ritorno alle mie radici, a Capracotta, il paese in cui sono nato.
Mi piacerebbe, piuttosto, approfondire le ragioni della mia irrequietezza che purtroppo, come ho sempre sperimentato, manifesta i suoi caratteri più negativi proprio alla fine di ogni anno; esaminando perciò il periodo appena trascorso, mi è venuto in mente della cosiddetta “Luna della lunga Notte”, cioè del Plenilunio che si osserva in questi giorni, coincidente con la notte più lunga dell’anno e con il Solstizio d’inverno. Ricordavo così che di recente, nel rinnovato interesse storico e culturale per la figura di Giacomo Leopardi, ho fatto visita alla sua antica casa di Recanati cogliendo l’occasione per rileggere, tra l’altro, l’ultima sua composizione intitolata “Il tramonto della Luna”; e non sarei sincero se negassi di essermi riconosciuto nel proverbiale pessimismo del poeta, di cui pure alcuni studiosi hanno ridimensionato la portata. Del resto, viene in genere considerato normale che, in una fascia di età avanzata come la mia, prevalga la componente …“malinconico-depressiva”: che, purtroppo, provoca molto disagio interiore; troppo lungo, comunque, il testo della poesia per riportarlo integralmente, ma sono davvero coinvolgenti le sue parole:
“…Giunta al confin del cielo,
dietro Apennino od Alpe, o del Tirreno
nell’infinito seno
scende la luna; e si scolora il mondo;
spariscon l’ombre, ed una
oscurità la valle e il monte imbruna;
orba la notte resta,
e cantando, con mesta melodia,
l’estremo albor della fuggente luce,
che dianzi gli fu duce,
saluta il carrettier dalla sua via”
(“La luna tramonta e il mondo perde i suoi colori, le ombre si dissolvono e una coltre di oscurità assoluta si addensa sui monti, La notte diventa cieca e risuona il canto triste del carrettiere che saluta la fuggente luce che gli aveva fatto da guida…”).
Ad un’altra, assai diversa tematica di questo periodo è stata poi rivolta la mia riflessione e cioè all’ Avvento che sta per concludersi e che il Messale Romano definisce così:
«L’Avvento è un tempo di preparazione al Natale, in cui agli uomini viene ricordata la prima venuta del Figlio di Dio… È un tempo in cui si orientano le menti, attraverso questa memoria e questa attesa della seconda venuta di Cristo, che porterà luogo alla fine dei tempi»;
mi ha inoltre colpito moltissimo l’irrituale, non teologica definizione dell’Avvento che si deve al pedagogista Rudolf Steiner:
“Nel silenzio del crepuscolo invernale, c’è un suono così debole che potrebbe essere solo quello del silenzio stesso. Trattieni il respiro per ascoltarlo. Sei consapevole del battito del tuo cuore. La cosa straordinaria che sta per accadere è pari solo al momento straordinario appena prima che accada. Avvento è il nome di quel momento”.
È comprensibile, peraltro, che tutto ciò mi abbia condotto a meditare anche sulla fine dell’esistenza terrena per cui, rimanendo sullo stesso argomento, mi è parso illuminante l’articolo del professor Alessandro D’Avenia pubblicato sul “Corriere della Sera” il 9 dicembre u.s.; mi ha davvero sorpreso che alla parola “Avvento” non si attribuisca il semplice significato di “evento che accadrà”, ma piuttosto quello di “Avventura” nel senso di “qualcosa di meraviglioso e al tempo stesso di misterioso che sta per verificarsi”.
Lo scrittore si spinge persino a sostenere che secondo la dottrina cristiana, in questa accezione del termine “Avvento” è mirabilmente racchiusa l’avventura di un Dio che sceglie di incarnarsi per la salvezza degli uomini; perciò il credente dovrebbe essere colui che vive la condizione umana, dal grembo alla tomba, come avventura e, se Dio si fa uomo, allora essere uomo è da Dio. Perciò questa ipotesi rende tutto entusiasmante (in greco entusiasmo significa avere un dio dentro) e ogni giorno della vita può diventare un’avventura:
“tutto dipende da quanto AVVENTO di sé stessi,
cioè capacità di (ri)nascere, riusciamo a concederci”.
Mi rendo conto del resto che, da così vecchio, non è facile considerare l’Avvento un’Avventura, ma sta di fatto che in questa definizione non viene fissato alcun limite di età, neppure la più avanzata e perciò ci sono buone ragioni per… non disperare; tornando invece al tentativo di bilancio spirituale cui accennavo, mi dispiace riconoscere che persiste, purtroppo, il fattore forse più determinante della mia inquietudine: quell’arcano conflitto interiore che mi fa sentire spesso in bilico tra accidioso pessimismo e consolante Speranza.
Perciò, a maggior ragione nel momento in cui sta per iniziare un nuovo anno, non mi resta che rinnovare il mio impegno affinché, finalmente e stabilmente, nel mio animo prevalga la virtù cristiana che citavo; intanto sono certo che nessuno me ne vorrà se rivolgo a me stesso, prima ancora che agli altri, l’auspicio conclusivo del professor D’Avenia:
“Vi auguro giorni pieni di Avvento!”
Mi piacerebbe anzi che, ai classici messaggi di fine anno, si aggiungesse questa espressione perché sono convinto, pur non dimenticando il tradizionale significato penitenziale del periodo liturgico appena concluso, che esso ci prepari ad affrontare la nuova avventura del 2025;
a proposito… BUON ANNO A TUTTI!
Aldo Trotta