Per un imprescindibile motivo di famiglia quest’anno, ancora una volta, è sfumata la possibilità di trascorrere il santo Natale nel paese in cui sono nato, a Capracotta: cosa che ho sempre tanto desiderato riuscendo poi a farlo solo eccezionalmente, come è avvenuto lo scorso anno; superfluo ripetere, pur riconoscendo la mia nostalgia non come rivolta a quel luogo del cuore ma ad una irripetibile stagione del passato, che ho comunque provato tantissima emozione. Oggi invece, in una prospettiva del tutto diversa, ho sentito l’esigenza di approfondire il significato di quel grande, ineffabile mistero rappresentato dalla Natività: cui ho riflettuto assistendo, ieri sera in TV all’apertura della Porta Santa in San Pietro per l’anno giubilare 2025 e stamani partecipando alla celebrazione della santa Messa. Di quest’ultima mi ha molto colpito la prima lettura tratta dal libro di Isaìa (Is 52):
“Come sono belli sui monti
i piedi del messaggero che annuncia la pace…”
perché, da vecchio montanaro, le sue parole mi hanno fatto idealmente pensare alle impronte di quei piedi sulla neve: come fossero state lasciate dagli antichi passanti avvolti nei loro mantelli a ruota a Capracotta; il mio pensiero, infatti, è subito andato al Salmo 121, che mi ha sempre affascinato e che recita così:
“Io alzo gli occhi ai monti…
da dove mi verrà l’aiuto…”
…Egli non permetterà che il tuo piede vacilli;
colui che ti protegge non sonnecchierà”.
Ora sarà forse per semplice coincidenza, ma proprio l’altro ieri mi aveva tanto commosso l’articolo diffuso dall’Associazione “Amici di Capracotta” cui mi onoro di appartenere; vi si raccontava infatti, quasi fosse un evento eccezionale, ciò che invece in passato caratterizzava ogni stagione invernale e cioè che era in corso una grossa nevicata:
“… mentre il paese si prepara al Natale, tra la neve e il vento, tutto appare un po’ più magico come se il mondo fosse diventato più leggero, più delicato e, forse, anche un po’ più innocente”.
È stato quindi istintivo riflettere al significato simbolico della montagna, tante volte evocato nel Vangelo; come non ricordare, d’altro canto, che nella notte di Natale gli angeli si manifestarono a semplici pastori cantando:
«Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace
in terra agli uomini che egli ama».
Sono parole da considerare con attenzione: la pace è la contropartita terrestre della gloria che Dio ha nei cieli, la pace è dono della venuta del Cristo, la pace viene offerta perché condivide la stessa estensione dell’amore di Dio, che ama tutti gli uomini.
Così è stato altrettanto naturale che ripensassi a un mio piccolo racconto in cui arrivavo a considerare la neve come un vero simbolo di Pace: la stessa, guarda caso cui, unitamente alla Speranza, è stato dedicato l’importante Giubileo del 2025 e perciò mi ha fatto tanto piacere leggere un articolo del periodico “Donne Magazine” che scriveva:
“La neve non è solo un elemento di bellezza, ma anche un simbolo di rinascita e speranza. Quando la neve copre il suolo, essa rappresenta un nuovo inizio, un’opportunità per riflettere e rinnovarsi. In questo senso, la neve diventa un invito a guardare oltre le difficoltà e a trovare la bellezza anche nei momenti più freddi e bui. La poesia, in questo contesto, diventa uno strumento potente per esprimere emozioni e sentimenti, permettendoci di connetterci con la nostra interiorità”.
Sì, è proprio la poesia che ancora una volta mi aiuta nel difficile intento di esplorare il mio stato d’animo; perciò, proprio nel giorno di Natale, mi viene incontro Giovanni Pascoli e poco importa che il suo componimento sia intitolato “Gennaio”:
“Nevica: l’aria brulica di bianco
la terra è bianca, neve sopra neve;
gemono gli olmi a un lungo mugghìo stanco,
cade del bianco con un tonfo lieve.
E le ventate soffiano di schianto
e per le vie mulina la bufera;
passano bimbi; un balbettio di pianto;
passa una madre; passa una Preghiera!”.
Avvicinandomi ora alla conclusione che mi suggeriscono le parole del poeta e lo stesso significato teologico del Giubileo, è inevitabile che il pensiero di un anziano come me si rivolga pure, molto serenamente, al termine dell’esistenza; e non mi reca disagio alcuno ricordare la poesia di uno scrittore agnostico, il portoghese Josè Saramago, intitolata “Non importa quanti anni ho”;
“Quanti anni ho, io?
A chi importa!
Ho gli anni che servono
per abbandonare la paura…
…per continuare senza timore il mio cammino”.
A Natale, specie in un giorno vissuto così silenziosamente, mi soccorre la Speranza che essi mi aiutino ad averne anche il coraggio
Aldo Trotta