Dalla strada al cuore di Emilia: la storia di Nerone

Nerone è il cane più conosciuto di Capracotta. Meticcio a pelo corto di colore nero, è il protagonista dei video e delle foto che la nostra carissima amica Emilia Mendozzi condivide sui social: dal sole dell’estate al vento e alla neve dell’inverno. Molti lettori ci hanno chiesto maggiori informazioni su questo tenero cucciolone. Le abbiamo chieste alla padrona che, gentilmente, ci ha raccontato la sua storia.

Nerone è arrivato a Capracotta nell’estate dell’anno 2014 seguendo alcuni ciclisti che, dalle Fonticelle, sono venuti in paese per acquistare un panino alla bottega della famiglia Trotta, “Trotta Sapori”, in via santa Maria di Loreto.

Era magro, pelle e ossa, con una coda corta che si apriva a ventaglio quando si sedeva. Forse, era stato addestrato per cercare tartufi, mi dissero, e per questo gliela avevano tagliata: per non farla impigliare nei cespugli. L’anca storta, con la sua andatura irregolare, raccontava invece un’altra storia: era stato abbandonato come un oggetto che non serviva più, forse lanciato da un’auto in corsa. Ancora oggi, a distanza di tanti anni, non vuole salire in macchina, neppure per necessità. Pensate un po’ lo spavento!

Non aveva un nome e nessuno sapeva da dove venisse. In paese, Nerone incontrò Macchia, una cagnolina che lo accolse come farebbe una madre. E non fu la sola. I bambini del quartiere, con la loro capacità di amare incondizionatamente, iniziarono a prendersi cura di lui: gli diedero un riparo e lo fecero sentire parte della loro piccola comunità.

Con l’arrivo dell’autunno, dovettero tornare a scuola. Non potevano dedicargli tanto tempo come prima. Tuttavia, Nerone rimase a Sant’Antonio.

Poi, venne l’inverno del 2015, quello della tanto decantata nevicata record. Avevo già notato quel povero cane ma non volevo affezionarmi troppo a lui: avevo già avuto un cane per sedici anni e l’avevo dovuto abbattere per un tumore allo stomaco. Non mi sentivo pronta per affezionarmi a un altro cane. Ma, a volte, il destino non si fa pregare. Decisi comunque di volerlo aiutare. Gli diedi il nome- Nerone- e gli preparai una cuccia dietro la stazione della benzina. E arrivò la bufera. La neve cadeva abbondantemente. Mi preoccupai per quel cucciolone. Mi precipitai alla stazione: la cuccia non c’era più. Era completamente sommersa dalla neve. E non c’era più neanche Nerone! Con la forza di chi deve sopravvivere, si era rifugiato nella cuccia di Macchia, che ancora una volta lo aveva accolto come un figlio. Sembrava sorridere: «Qui sto bene, grazie!».

A un certo punto, mi dissero: «Decidi Emilia: o lo adotti o saremo costretti a farlo portare via». Non potevo voltargli le spalle. L’ho portato immediatamente dal veterinario: gli ha installato il microchip e gli ha fatto tutte le vaccinazioni.

Da allora non ci siamo più lasciati. Dorme a casa mia, gioca con chiunque incontri e mi accompagna ovunque. Ogni giorno, esce per lunghe camminate per il paese. Un po’ di stretching, qualche starnuto e via per una nuova giornata di giochi e coccole. È così, forse, che funzionano le cose nella vita. Mi dico: incontri qualcuno- un cane, un amico- e pensi che sia solo di passaggio. Poi capisci che era lì per restare. E io, che credevo di aver chiuso il cuore, ho scoperto che, in realtà, ero solo in attesa di lui.

Emilia Mendozzi