Ntiembə-ntiembə: un’altra storia del Clipper a Capracotta

Sia pure considerandolo un ricordo speciale dei miei anni infantili a Capracotta, credevo di avere decisamente esagerato scrivendo tante volte del vecchio spartineve americano e delle sue tante storie: a cominciare dal suo arrivo in paese, il 16 gennaio 1950 e tutti sanno della mia gioia, nel 2023, quando è stato possibile dedicargli una sorta di piccolo mausoleo per rendere onore ai suoi meriti di grande benefattore.

Ritenevo, oltre tutto, che ci fosse ben poco da aggiungere ancora ma, nelle scorse settimane ho dovuto ricredermi leggendo di altri, diversi episodi che non conoscevo: grazie ai recenti, bellissimi racconti dell’amico Costantino Giuliano, figlio di Romeo che aveva guidato e custodito per diversi anni quello spartineve unitamente a Leo Conti, un parente acquisito per aver sposato una mia cugina, Cecilia Trotta.

Nessuno me ne vorrà pertanto se, interpretando la volontà di un altro caro amico attualmente infermo, Michele Potena, mi permetto di aggiungere per  suo conto un altro capitolo: sempre collegato a quel prodigioso automezzo e ai suoi valorosi conducenti, cui tanta gratitudine  ci lega tuttora, anche a distanza di molti anni; a tale proposito, mi rammentavo che una delle più grandi difficoltà per il suo impiego era quella delle comunicazioni, solo parzialmente risolta ricorrendo a un apparecchio rice-trasmittente di bordo collegato alla stazione meteorologica di Capracotta.

Va sottolineato peraltro che all’epoca non erano disponibili gli attuali sistemi di telefonia cellulare e che, purtroppo, erano anche limitate le fasce orarie in cui il ponte radio appena citato poteva essere utilizzato; è doveroso premettere, inoltre, che si cercava di evitare l’impiego di quel potente automezzo nel corso delle tormente di neve perché il turbinio vorticoso del vento ne avrebbe di lì a poco, in brevissimo tempo, accumulata di nuovo tanta nella strada appena sgomberata; c’era infine il problema, tutt’altro che secondario, del costoso impegno economico che la grande quantità di combustibile necessario comportava, ma capitavano frequentemente delle condizioni di urgentissima necessità che obbligavano a derogare da questa regola.

Così, mentre stavo passando mentalmente in rassegna le tante storie di cui è stato protagonista lo spartineve, del tutto imprevedibilmente, ne ho conosciuta un’altra, davvero singolare; è accaduto leggendo, come dicevo, un racconto intitolato “Ntièmbe, Ndièmbe!” (“In tempo, in tempo!”) scritto dal caro amico Michele Potena, cugino di mia moglie Anna e che narra di un episodio accaduto nel 1962. Da quanto sono riuscito a sapere, si tratta di una testimonianza inedita ottenuta intervistando il caro e compianto Alfonso Conti, il vero protagonista, in fondo, della vicenda.  È così che mi è venuta l’idea di proporlo nel suo testo originale, cui ho aggiunto solo alcune mie considerazioni:

«Una notte di febbraio Elio, mentre dormiva, sente un lamento insistente, ma non comprende da dove proviene. Sgomita verso la moglie che riposa e le dice: Elsa, ascolta pure tu, mi sembra di sentire una voce che viene da fuori, solleva il capo dal cuscino e presta attenzione. AIUTO! AIUTO CHI MI AIUTA? Guarda l’orologio mezzo addormentato, è trascorsa la mezzanotte. Salta giù dal letto e si porta alla finestra, guarda fuori ma non vede nulla perché il vetro è coperto da uno strato di gelo. Nevica e soffia il vento, turbini di neve, è bufera! Ma chi va in giro a quest’ora con questo tempaccio?

Con questa bufera è impensabile aprire la finestra per vedere chi c’è fuori, se si apre, col vento che soffia si riempirà la camera di neve. Allora si mette ad alitare contro il vetro per sciogliere un po’ del gelo che lo ricopre, gratta con le unghie facendo un buco nel gelo; quel tanto che basta per guardare, almeno con un occhio, ciò che succede fuori. Vento forte, turbini di neve, neve dall’alto, neve dal basso. Tempesta nera!

La voce che chiede aiuto è sempre più cupa e disperata. Elio apre il portone ed esce per portare aiuto. Arranca in mezzo alla neve, guarda bene e vede appena un’ombra che si agita; è una persona che si dimena e urla AIUTO! AIUTO!  È un brutto momento, da solo non ce la fa e chiama suo zio Nicolino che abita al piano di sotto urlando: Svegliati, vestiti, che qui fuori c’è qualcuno che ha bisogno di aiuto, dobbiamo vedere chi è, dobbiamo aiutarlo. Lo zio salta dal letto, si veste in fretta, si avvolge nel mantello a ruota ed esce avvicinandosi alla persona che chiede aiuto. È un uomo ricoperto di neve che si agita impaurito e disperato. Lo riconoscono dalla voce: è il compare Alfonso, soprannominato “di Allelè” e cioè il fratello di Leo, l’autista del grande spartineve Clipper regalato dai capracottesi d’America. Lo tirano fuori dal mucchio di neve e lo portano in casa…a peso vivo. Appena entrati nel portone, sentono il rumore dello spartineve che sta sopraggiungendo, giusto in tempo dopo essersi messi in salvo. Se avessero tardato ancora un po’ Leo, il fratello, lo avrebbe travolto; era stato davvero un miracolo!

Entrati in casa, lo coprono con una coperta di lana e riaccendono il camino per farlo scaldare. Cammuccia, la moglie di Nicolino, avendo sentito tutto il trambusto, si alza anche lei e si mette a preparare bevande calde: caffè, camomilla e non sa più cos’altro da offrire al povero compare Alfonso.

Così, al calore del fuoco e con l’accoglienza ricevuta, Alfonso riprese fiato ed ebbe la forza di raccontare perché si trovava quella notte nella neve; compare Alfonso è buono come il pane, è una pasta di miele, tutto casa e bottega. E comincia:

Passate le ore ventuno vicino al caminetto, insieme a mia cognata Cecilia, parlavamo del più e del meno, in attesa che rientrasse Leo con lo spartineve. Guardavo continuamente dalla finestra con tanta ansia, ma Leo non si vedeva arrivare. Con quel tempo ‘caino” e tanta neve, tutto può capitare! Leo è fuori dalla mattina, è quasi mezzanotte e non è ancora rientrato: qualcosa è certamente accaduto!

Perciò, impensierito e impaurito, ho voluto cercare di andargli incontro, almeno fino alla Chiesa della Madonnina, per vedere se rientrava. Passando davanti a casa vostra mi son trovato di fronte un muro di neve che sembrava una montagna e mi sono infossato. Non potevo andare né avanti né indietro perché la neve mi arrivava fino al petto. Aiutandomi poi con le mani e i piedi nel tentativo di venirne fuori, ho sudato tantissimo e mi ha preso uno ‘scoramento’ che mi ha fatto perdere le forze, al punto da non farcela più, non ho capito più nulla e mi sono messo ad urlare.  Meno male che siete intervenuti voi altrimenti io, in quella neve, ci sarei rimasto».

Al termine di questa storia, certamente l’ennesima correlata al vecchio spartineve, si rafforza in me la convinzione che, pur riconoscendone la drammaticità, sia comprensibile che i giovani di oggi abbiano difficoltà a considerare veritiere questo genere di testimonianze; a pensarci bene, del resto, si fa comunque fatica a immaginare che, in tanti accadimenti di questo genere, un gruppetto di volenterosi riesca ad organizzare una vera e propria spedizione di soccorso. 

E concludo confidando che è davvero impossibile descrivere l’angoscia, sia pure avendola vissuta, di quando all’improvviso si diffondeva in paese il suono delle “campane a martello “che avvertivano la popolazione di un’emergenza; non c’era, allora, altra maniera per farlo e non esisteva purtroppo, non solo a Capracotta, la PROTEZIONE CIVILE!

Aldo Trotta