Un’eroica figura ormai scomparsa: quella del “procaccia postale” | Amici di Capracotta

Un’eroica figura ormai scomparsa: quella del “procaccia postale”

Il procaccia Emanuele Paglione

Da inguaribile appassionato della neve e delle sue storie fin da quando ero piccolo, ha suscitato in me molta commozione un racconto riproposto in questo periodo dagli “Amici di Capracotta”: inizialmente pubblicato nel 1956 sul quotidiano “Il Giorno” a firma del giornalista Tommaso Besozzi. E non è certo casuale che fosse intitolato “I Cavalieri della Tormenta” per via delle incredibili precipitazioni nevose verificatesi nell’inverno di quell’anno: che rimarranno memorabili, specie ora che ci angoscia il problema del riscaldamento globale; la mia riflessione odierna, tuttavia, non riguarda la neve ma la figura, ormai praticamente scomparsa, del “procaccia postale” e con essa, forse, anche dell’arcaico termine utilizzato per denominarla.

Sarei anzi curioso di domandare ai ragazzi di oggi cosa volesse dire la parola “procaccia” perché è assai improbabile che ne conoscano il significato; questa è comunque la definizione che ne fornisce l’enciclopedia Treccani:

    “Persona incaricata di eseguire commissioni, portare pacchi e roba da un paese all’altro, per conto di terzi e dietro un compenso stabilito. Nell’amministrazione postale era una incaricata di trasportare la corrispondenza dagli uffici postali allo scalo ferroviario o a una fermata di autolinee, e viceversa, e, quando mancassero servizî pubblici di trasporto fra località vicine, di prelevare e trasportare gli effetti postali tra gli uffici di tali località (talvolta anche con la funzione di portalettere rurale)”.

Già queste parole fanno riflettere ai tantissimi anni in cui, specie in alta montagna come a Capracotta, vi era stata assoluta necessità di un procaccia postale: di cui non mancano citazioni anche nella letteratura molisana, come quella di Francesco Jovine che scriveva:

“…per la provinciale non passava che il carretto

 del procaccia postale alle undici, e poi più nulla”;

e tutto ciò ci riporta al periodo successivo all’unità d’Italia in cui le strade erano più pericolose di quelle attuali, per cui bisognava persino ricorrere a corrieri armati: non molto dissimili, in fondo, dai fucilieri che accompagnavano le vecchie diligenze nei film western americani.

Fortunatamente, che io sappia, i pur numerosi rischi quotidiani di quei cooperanti non li avevano mai obbligati a girare armati sebbene una delle più temibili minacce, nel lungo periodo invernale di tanti anni fa, fossero i lupi; così ho avuto grande piacere di rileggere alcune storie che riguardano quei benefattori, a cominciare dal contributo di A.M. Gobbi Belcredi che nel 1938, per la rivista del Touring Club Italiano scriveva:

   “…il procaccia postale è ben armato per riceverli, ma non di rivoltella né di pugnale, bensì di un lungo bastone che egli tiene in resta e vibra con maestria, come i guerrieri del buon tempo antico”.

Degna poi di grandissima ammirazione, è la figura del più famoso procaccia postale di Capracotta, Giacomo Paglione (foto a lato, ndr) che il 9 febbraio 1906, nel percorso verso lo scalo ferroviario di Carovilli, riuscì a mettere in salvo due persone sorprese da una violenta bufera di neve; gli venne perciò conferita la medaglia d’argento al valor civile, ma non va dimenticato anche il sacrificio degli animali domestici che contribuivano allo svolgimento di quel prezioso servizio, in genere cavalli o muli.

Davvero commovente la foto del 1956 che rappresenta forse l’ultimo dei procaccia postali di Capracotta, Emanuele appartenente alla stessa famiglia Paglione, con la sua giumenta che trasporta un sacco delle “Poste Italiane”; come molti ricordano, infatti, in quell’anno e per molti giorni la grande quantità di neve impedì ogni collegamento automobilistico: il che rese inevitabile, stante pure un guasto dello spartineve, il ritorno alla tradizione più antica con la decisione di raggiungere a cavallo Campobasso, il capoluogo di regione.  È doveroso peraltro che confessi di non essere mai venuto a conoscenza diretta di tutto ciò ma è pur vero che io, allora, avevo solo 12 anni di età; è stato altrettanto emozionante rileggere la testimonianza di Irma Litterio in cui, ricordando il nonno che faceva il procaccia postale a Pescopennataro, raccontava che fu letteralmente salvato dalla sua giumenta di nome “Morena”: che, nel percorso verso Agnone, si rifiutò di attraversare un ponticello intuendo che sarebbe crollato di lì a poco.

Ora sono certamente molti altri gli esempi di abnegazione se non di vero eroismo che hanno contrassegnato la storia dei procaccia postali a Capracotta e dintorni; dispiace, tuttavia, che essi non facciano più notizia e perciò, a maggior ragione, voglio estendere il mio affettuoso ricordo alle persone, tutte normalissime peraltro, che in paese hanno sempre assicurato un eccellente servizio postale.

A tale proposito è incredibile che, nonostante i disagi, fin nel primo dopoguerra la posta venisse recapitata anche due volte al giorno, persino nei mesi più critici dell’inverno; e pensare che ora i plichi ed i pacchi più pesanti possono raggiungere i loro destinatari utilizzando dei modernissimi “droni”!

Perciò, quasi riascoltando l’enigmatico ticchettio dell’antico apparecchio telegrafico, ho la netta impressione di rivedere il compianto Bruno Conti con la sua cara zia che dirigeva quel nostro piccolo Ufficio Postale; ma la mia sincera riconoscenza è per tutti coloro, ben pochi in fondo, cui era affidato l’unico sistema di comunicazione allora disponibile. Mi sono reso conto, tra l’altro, che è davvero difficile convincere i giovani di oggi che in quegli anni remoti non disponevamo neppure del telefono.

Aldo Trotta