Sono già diverse le occasioni in cui è stato ricordato che sono prossimi i festeggiamenti per i trecento anni dalla consacrazione della “Chiesa di Santa Maria Assunta” a Capracotta: dalla cui lunga storia continuano ad emergere episodi inediti o vere curiosità; l’ultima di esse, riportata dall’amico Francesco Di Rienzo, riguarda il fatto che si pensava fosse quella più in alto dal punto di vista architettonico e geografico. Non è, in effetti, così perché in Italia ci sono almeno altre tre Chiese, dedicate all’Assunzione, al di sopra dei 1400 metri s.l.m.: esattamente quella di La Villa, nel comune di Badia (BZ), che si trova a 1568 metri sul livello del mare, un’altra a Selva di Val Gardena (BZ), a 1563 metri, e infine una nella frazione La Ruà di Pragelato (TO), che si trova a 1518 metri.
Riflettendo ora alla nostra Cattedrale, è naturale che affiorino in me tantissimi ricordi specie, ma non solo, degli anni giovanili che ho vissuto a Capracotta e sarebbe davvero impossibile raccontare di tutte le ricorrenze o dei tanti accadimenti che le restano legati; nella mentalità di quando ero bambino fu grande l’emozione della prima volta in cui sono salito fino alla sommità del campanile, al di sopra delle celle campanarie che è delimitata, come è noto, da una ringhiera in ferro battuto. Come ho già raccontato, si trattò allora di un’occasione particolare in cui, stante il prolungato blocco della viabilità per la neve nell’inverno del 1956, quel posto così in alto consentiva di osservare da vicino gli aerei militari che, sorvolando il paese a bassa quota, soccorrevano la popolazione sganciando derrate alimentari e altri beni di prima necessità a mezzo dei paracadute; ed è inevitabile che, a questo punto, io ripensi a tutto ciò che mi era stato raccontato dei terribili giorni in cui Capracotta fu devastata dalla guerra nel 1943, quando io avevo poco più di due mesi. Fu allora infatti che quell’edificio sacro, fortunatamente risparmiato dalla distruzione, diventò il rifugio più sicuro per le tante famiglie costrette ad abbandonare le proprie case e, poco dopo, anche il paese; nel 1956 fu anche la prima volta in cui mi resi conto della straordinaria grandezza e dell’ardita posizione della Chiesa, a picco sulle rupi retrostanti che si affacciano sulla vallata del fiume Sangro e fu davvero provvidenziale che non soffrissi di vertigini. Mi sono poi reso conto che da bambini, tanto più in un piccolo centro, tutto appare di grandi dimensioni rispetto a ciò che si percepisce in seguito, crescendo e scoprendo altre località e altri monumenti in Italia e nel mondo: come è capitato a me, e forse a tutti, non senza una certa delusione; successivamente è stato naturale che tornassi maggiormente obbiettivo valutando nella giusta luce, storica e culturale, la nostra Chiesa di cui tuttora impressionano le caratteristiche.
Cercando quindi di tornare al periodo della sua costruzione, è doveroso ricordare che, nello stesso luogo, preesisteva un edificio molto più antico di cui hanno fornito prova le ricerche dell’amico Ermanno D’Andrea, riprese da Francesco Di Rienzo:
“è riuscito a scoprire alcune parti dell’antico tempio partendo da una anomalia architettonica: l’attuale campanile, risalente al 1589, è allineato perfettamente sul nord astronomico ma risulta essere spostato di nove gradi rispetto all’asse principale. Al suo interno, D’Andrea ha individuato i resti di antiche volte, della nicchia nella vecchia cella campanaria e di rivestimenti in pietra risalenti al Quattrocento. In pratica, il vecchio campanile è ancora esistente ma interamente ricoperto da quello nuovo”.
Così, mi piace riportare anche le parole testuali con cui Luigi Campanelli, nel volume intitolato “Il territorio di Capracotta”, descriveva oltre 90 anni fa la consacrazione della Chiesa:
“…resta sconosciuta l’epoca precisa in cui fu data mano ai lavori e in quale maniera, ma possiamo fissarne l’inizio nel primo quarto del secolo 1700 (Arcipreti Giuseppe Di Rienzo 1691-1710 e Francesco de Baccaro 1711-1733) perché quest’ultimo invocò ed ottenne la benedizione dell’altare maggiore dall’eminente prelato compaesano Monsignor Francesco Baccari, allora vescovo di Telese; la struttura fu poi completata nel 1725 e infatti, il 15 agosto di quell’anno, venne a benedirla il vescovo di Trivento, Monsignor Alfonso Mariconda che ne rinnovò l’intitolazione a Santa Maria in Cielo Assunta, già preesistente”.
In tutta sincerità mi sono un po’ rattristato proseguendo nella lettura del libro appena citato perché il suo autore, senza alcuna esitazione, riporta una serie infinita di controversie e di ricorsi legali che paradossalmente, considerato l’ambiente ecclesiastico, ebbero l’effetto di ritardare il completamento e la definitiva sistemazione della nostra Cattedrale: la cui ulteriore benedizione, affidata al prelato Donato Sammartino di Agnone, scivolò al il 23 dicembre 1748.
Io preferisco sorvolare su questi assurdi fatti di cronaca per rendere elogio invece, con immensa gratitudine, ai tanti anonimi concittadini che trecento anni fa contribuirono alla realizzazione di quel complesso architettonico così ardimentoso; che io sappia, molti hanno persino cercato di documentare in che modo fossero stati reperiti gli ingenti finanziamenti necessari, ma sono convinto che essi non rappresentassero la cosa più determinante.
Suscita piuttosto grande ammirazione il fatto che la progettazione della Chiesa fosse stata concepita pochi decenni dopo l’epidemia di peste del 1656: nel corso della quale, come è noto, in 40 giorni erano scomparsi oltre 1000 capracottesi su poco più di 2000 abitanti; e ancor più impressiona riflettere a come siano stati reperiti, trasportati e innalzati i materiali da costruzione eccezion fatta, forse, per le pietre di cui è ricchissimo il territorio di Capracotta; a tale proposito ricordo di aver appreso che, in modo del tutto sostenibile come si direbbe oggi, fu autorizzato il taglio di tantissimi alberi di alto fusto per disporre delle travi necessarie alla copertura del tetto.
Tutto ciò non ha impedito, purtroppo, che nel corso dei secoli proprio quest’ultima si rivelasse la struttura più vulnerabile dell’intero edificio: certamente a causa delle frequenti tempeste di vento e di neve che, da sempre, hanno caratterizzato il nostro territorio; ed è inimmaginabile lo sforzo economico che la nostra comunità ha sempre dovuto sostenere, anche per la manutenzione ordinaria e straordinaria di quel monumento allo scopo di custodirlo e tramandarlo alle generazioni successive.
Ragione di più, io credo, perché sia fermo il proposito di tutti non solo e non tanto di celebrare nel miglior modo possibile il trecentesimo compleanno della nostra Chiesa Madre, ma soprattutto quello di assumere solennemente un altro e più qualificante impegno; mi auguro infatti che, riconoscendoci in quel simbolico monumento, tutti ci adoperiamo per evitare qualsiasi futile controversia o divisione nel prossimo futuro. Sarebbe, io credo, la maniera più bella di convincere noi stessi e la nostra comunità che trecento anni di storia non sono trascorsi invano e per dimostrare, al contrario, che ora siamo immuni da ogni rischio di litigi e di incomprensioni; senza contare l’immenso beneficio spirituale, almeno per la grande maggioranza di noi, di riscoprire l’importanza e la bontà delle nostre radici cristiane e tanto più nel corso del 2025, un anno giubilare che speriamo rinvigorisca e sostenga le speranze di Pace nel mondo.
Aldo Trotta