“Ecce Homo” (particolare). Archivio fotografico: Catalogo Generale dei Beni Culturali
Questa scultura lignea dell’Ecce Homo, collocata nella sagrestia della Chiesa Madre di Capracotta, si presenta come un’opera di discreta fattura, ma di grande impatto devozionale. Cristo è raffigurato a mezzo busto, con il torso scoperto e segnato da numerose ferite sanguinanti, segno della flagellazione appena subita. Il mantello rosso gli cade dalle spalle ed è trattenuto da un cordone mentre sul capo è posta la corona di spine, simbolo del suo scherno e del suo martirio.
Le mani incrociate in avanti, legate anch’esse da una corda, suggeriscono un atteggiamento di umile abbandono alla volontà del Padre. Il volto di Cristo, leggermente reclinato e segnato da un’espressione di tristezza silenziosa e mite dolore, mostra una ricerca espressiva accurata, volta a suscitare empatia e meditazione nel fedele.
Dal punto di vista teologico, l’immagine dell’Ecce Homo (“Ecco l’Uomo”) rimanda direttamente alle parole pronunciate da Ponzio Pilato nel Vangelo di Giovanni (19,5), quando presenta Gesù alla folla dopo la flagellazione, vestito con il mantello porpora e coronato di spine. In questa scultura, quel momento viene fissato in una forma che unisce patimento e dignità: il Cristo sofferente non è soltanto vittima della violenza umana ma sacerdote e re, consapevole della missione salvifica che sta portando a compimento.
La posizione del busto, racchiuso entro un tabernacolo ligneo ornato da colonne tortili scure, contribuisce a conferirgli un’aura di sacralità e raccoglimento, quasi a voler trasformare la sagrestia in un un ambiente anch’esso devozionale.
Questa scultura, seppur semplice, è capace di parlare al cuore, ponendosi come strumento di meditazione sul mistero della Passione: un Cristo umiliato, ma già glorioso, che invita a riconoscere in Lui il vero volto dell’Uomo e del Dio che ha scelto la croce per amore dell’Umanità.
Francesco Di Rienzo