Francesco Di Rienzo: Passiamo dalle produzioni agricole tipiche a un altro settore di cui siamo convinti che Capracotta sia ricchissima: l’arte, la storia e la cultura. Perciò, invitiamo sul palco l’architetto Franco Valente. Franco Valente è nato a Venafro da madre capracottese, Amelia Santilli. Ho qui la biografia di Franco: lunghissima, lunghissima, lunghissima… Architetto, ha sempre svolto una intensa attività di studio, valorizzazione e promozione del patrimonio artistico e culturale del Molise. Se visitate il suo blog, leggerete che Franco racconta di papi, imperatori, pittori e scultori che vengono in Molise. Nel fare tutto ciò, inserisce sempre la nostra cittadina. Ho stampato una serie di articoli al riguardo: una panoramica su Capracotta; il culto a livello regionale per san Sebastiano e san Fabiano, tra cui la statua del primo e uno scarabattolo con le reliquie del secondo all’interno della Chiesa Madre; allineamenti e moduli armonici di origine pitagorica nell’architettura sacra del Sannio in cui si parla della Tavola Osca; la vicenda di Strazzacappa e la Madonna Incoronata con riferimento a una pittura presente nella chiesa di san Vincenzo, un tempo cappella privata della famiglia Campanelli; il ricordo dell’esistenza di uno xenodochio in via Arco di fronte alle ex carceri e, più recentemente, “Quilli iuorni: nel 1171 tra San Pietro Avellana e Capracotta due tra le parole più antiche della lingua italiana”. Si tratta, secondo me, di uno dei testi più belli che hai scritto: sono due parole contenute nella regola dell’eremo di san Giovanni battista sul Monte Capraro, uno dei documenti più antichi della lingua italiana. In questo articolo Franco ci ha raccontato che due parole di cui noi oggi facciamo un uso quasi quotidiano, “quilli iurni”, cioè “quei giorni”, hanno la prima attestazione nella lingua volgare proprio in un documento che riguarda il nostro territorio. Quindi, il processo di formazione della lingua italiana è passato anche per questi luoghi e, in particolare, per Capracotta?
Franco Valente: Innanzitutto ringrazio l’Associazione per questo pensiero che sicuramente va al di là dei miei meriti e non mi aspettavo nel modo più assoluto. Comunque, è sempre un piacere tornare qui a Capracotta, parlare di Capracotta e forse dire cose che piacciono ai capracottesi. Sono nato a Venafro tantissimi anni fa eppure ogni volta che mi chiedono di dove sono rispondo sempre: “di Capracotta”. E ci tengo a dirlo proprio perché credo che sia importante per chiunque di noi di Capracotta tenere ferme le radici nel territorio da cui si proviene. Capracotta è un luogo singolare che permette di capire, attraverso una serie di analisi non solo archeologiche ma soprattutto storiche sui documenti, che tutta la storia dell’Europa è passata in qualche modo anche per questi luoghi: dall’epoca sannitica con le rocche sannitiche del Monte san Nicola e il Monte Capraro, tutta la fase della romanizzazione e soprattutto la presenza benedettina. Quel documento dell’Eremo di san Giovanni apparentemente non dice nulla. È un documento di un monaco vissuto sul Monte Capraro, Ruele, che a un certo punto lascia un memoratorium- sono quelle carte carte che in famiglia si scrivono perché i figli si ricordino di una certa cosa- per minacciare di scomunica chiunque si azzardi a dire che la chiesa di san Simone e Giuda- che evidentemente stava su quella montagna- non faccia parte del monastero di san Giovanni, che a sua volta fa parte del monastero di San Pietro Avellana. Questo piccolo pezzo di carta si conserva ancora a Montecassino ed è un rarissimo documento peraltro sconosciutissimo. Per una seria di accidenti sono arrivato a questo testo e mi è piaciuto scriverne proprio perché la storia dei paesi non si fa leggendo libri triti e ritriti, fatti e rifatti, copiati e ricopiati ma cercando di arrivare alle fonti storiche.
Molto spesso siamo soddisfatti del paese in cui viviamo quanto più antica è la notizia da cui possiamo partire. Ora, Capracotta, s’è persa una torre: una torre che era una testimonianza importantissima della sua storia. Noi piano piano, in questi tempi, ci cominciamo a rendere conto che ogni volta che si cancella una di queste tracce del passato è come se un famigliare di casa perdesse la memoria. E non c’è cosa più brutta di rientrare in casa e non essere riconosciuti da una persona a noi cara. Sono piccole cose che hanno un’importanza notevolissima. Pensate alla Chiesa dell’Assunta che abbiamo qui a Capracotta. Noi oramai siamo abituati a utilizzare le chiese solamente per un evento felice, un matrimonio, una messa domenicale, o per un funerale. La storia dell’Italia si può fare attraverso la storia dei matrimoni e dei funerali di tutte le famiglie. Capracotta si riconosce attorno alla chiesa dell’Assunta. Ma dire semplicemente chiesa dell’Assunta significa da un aspetto formale a un edificio che, invece, per me rappresenta qualcosa di eccezionale: Capracotta ha la parrocchiale più vicina al cielo in tutta Italia. Non esiste una parrocchiale più alta di Capracotta. Questo particolare aspetto ci consente di dire che noi siamo privilegiati. E, se vogliamo vedere nella simbologia di questi luoghi, in realtà cominciamo a capire che l’universo teologico non ha nulla a che vedere con quello scientifico. Capracotta aiuta a riflettere nel senso che noi viviamo sulla Terra ma siamo proiettati non solo ai benefici occasionali, a quelli che fanno parte dell’organizzazione ideologica della quotidianità, gli aspetti politici ma siamo anche fortemente legati a una realtà che ha delle radici teologiche particolari. Allora, la presenza dell’Assunta qui a Capracotta ha un significato particolare: è la conclusione di una guerra teologica tra longobardi e franchi perché prima, molto probabilmente, quella chiesa era dedicata a san Michele Arcangelo, il santo per eccellenza dei longobardi. Allora, sui nomi noi dovremmo essere ancora più attenti perché si sta verificando un fenomeno tristissimo: quello della perdita della memoria dei toponimi. Quando per un paio d’anni ho assistito il professor Miarelli all’Università, davo dei consigli ai giovai che si scrivevano ad Architettura: quando volete studiare un territorio, dovete prima di tutto recarvi nelle campagne e parlare con i contadini, i pastori e i cacciatori. Vi diranno i nomi dei vari luoghi, come si chiama quella rupe, quel muro, quella zona, quella chiesa. Poi, piano piano, mettendo insieme quei nomi riuscirete anche a ricostruire le storie. Poi, si va alla ricerca di documenti epigrafici concludendo, in tal modo, la storia di un paese. Devo dire, però, che oggi è sempre più difficile trovare persone che ricordino i nomi dei luoghi. Prima di tutto perché i cacciatori girano con il telefonino: quindi non hanno più necessità di sapere in quale luogo sono andati a cacciare. Basta una telefonata per accedere a internet o a un tom tom per sapere dove si trovano. Anche la presenza fisica dei contadini non è più legata all’uso della terra. I pastori non sono più quelli della transumanza che conoscevano il territorio. Molto spesso vengono da altre nazioni, lavorano in questi luoghi e a mala pena riescono a capire il nome del loro datore di lavoro: non conoscono il nome delle varie località. Quindi si sta creando una certa situazione di degrado anche sul campo della conoscenza. E allora da quattro anno vado sulle piazze del Molise. Vado a raccontare la storia di ogni paese. E vedo che diventa sempre più interessante questa partecipazione perché non solo per me è motivo di di arricchimento in quanto devo necessariamente indagare sulle origini di un luogo e quindi conoscere ogni particolare ma soprattutto per gli abitanti del posto. Il premio che considero semplicemente un attestato di amicizia dagli Amici di Capracotta credo che sia importante soprattutto per chi di Capracotta si sente portatore di una radice che spera sempre si trasformi in un albero che dia dei rami dai quali possano attendersi dei frutti: quei frutti sono i giovani. Se oggi non riusciamo a dare alle nuove generazioni il senso di una speranza, il segno di un sogno che si possa realizzare, sicuramente la nostra vita passata non è servita a niente.
Francesco Di Rienzo: Nel segno del recupero e della promozione dei valori, delle tradizioni, della storia, degli usi e dei costumi della civiltà capracottese, conferiamo, ai sensi dell’articolo 4 dello Statuto, il Premio “Eccellenza Capracottese” all’architetto Franco Valente per la sua lunga e infaticabile attività di studio e valorizzazione del considerevole patrimonio artistico e storico di Capracotta all’interno del più ampio contesto regionale molisano.