Sabato 8 dicembre 2018, con inizio alle ore 17, si svolgerà il convegno “75 anni fa la Guerra: la distruzione, lo sfollamento… Coltiviamo la memoria” organizzato dall’amministrazione comunale e dalla Pro Loco presso la sala convegni dell’Hotel “Il Conte Max” in via Vallesorda. Anche noi dell’Associazione “Amici di Capracotta” vogliamo offrire un nostro contributo con un testo (in due puntate) del nostro presidente Domenico Di Nucci sui tanti momenti di vita vissuta e sui tanti piccoli tasselli che poi vanno a completare il quadro d’insieme della storia di quel tragico periodo per la nostra cittadina.
La guerra è guerra! Appena prima della seconda guerra mondiale, il popolo capracottese, come del resto il popolo italiano, nella routine quotidiana non riuscì a cogliere presagi di sventura; da Capracotta ogni anno partivano reclute che mai avrebbero creduto che la loro ferma sarebbe durata fin oltre il 1945; poi il 10 giugno del 1940 una folla oceanica in Piazza Venezia assistette al discorso di Mussolini che dichiarava guerra alla Francia e all’Inghilterra. La guerra è guerra!.. e furono richiamati i congedati: tutti validi per realizzare sogni effimeri di gloria che portarono soltanto a tragiche conseguenze.
Mussolini: «Mi serve qualche migliaio di morti per sedermi al tavolo delle trattative». Ciano: «Che Dio ci assista». Winston Churchill dai microfoni di Radio Londra: «Questa è la tragedia della storia italiana», «E questo è il criminale che ha tessuto queste gesta di follia e vergogna!». Motti celebri per decenni hanno rimbombato nelle menti; e nessuno riusciva ad avere risposte a tanti interrogativi; nessuno riusciva a dare una pur minima giustificazione per tutto il dolore e la preoccupazione di fronte a logiche belliche spietate.
A Capracotta la radio della Società diffondeva quelle poche notizie che una feroce censura consentiva di diffondere. Tutta la gioventù capracottese era distribuita nei territori di guerra; chi nel Dodecanneso, chi nei Balcani, chi in Russia, chi in Libia, chi in Francia.
A Capracotta l’annuncio dell’armistizio dell’otto settembre parve una liberazione. Fu ripristinata la festa della Madonna. A conclusione della processione verso la Madonna l’arrivo di motociclisti tedeschi scatenò il panico: « Éssǝ rǝ tǝdischǝ!» Un intraducibile grido di allarme, di rabbia, di preoccupazione e di impotenza. La guerra purtroppo era arrivata persino a Capracotta, la prima volta dopo oltre 22 secoli, da quando il nostro territorio fu il fulcro degli epici scontri tra Sanniti e Romani.
Dopo l’otto settembre i militari che erano nella condizione fuggire, anche rischiando la vita accettarono il rischio, abbandonarono la divisa e cercarono di tornare a Capracotta. Non è vero quello che migliaia di fogli matricolari hanno annotato e cioè che chi non restò in divisa fu sbandato per i noti avvenimenti del dopo 8 settembre. Tanti alti ufficiali consigliarono alle truppe di abbandonare la divisa e cercare di raggiungere la propria casa; lì sarebbe stati più sicuri.
Ho ben presente le testimonianze dei miei parenti che vissero quelle drammatiche circostanze e che riporto in breve sintesi. Mio zio Michele, fratello di mio padre, cadetto dell’Accademia Militare di Livorno, fu inviato come ufficiale in zona di guerra e riuscì a tornare a Capracotta; fu impossibilitato a rispondere al successivo richiamo alle armi perché sfollato con tutta la famiglia a Casalvecchio di Puglia e fu accusato di diserzione; fu poi assolto dal Tribunale Militare. Mio zio Mario, altro fratello di mio padre, nonostante fosse l’istruttore di sci del Principe Umberto di Savoia, fu inviato in Dalmazia e dopo l’8 settembre con altri due finanzieri attraversò l’Adriatico con una barca a remi. Tornò prima del 20 settembre a casa. Mio zio Mario Di Tanna (dǝ Rǝmigna), fratello di mia madre, era in Libia come attendente del capitano Lettieri; non potendo certo attraversare il deserto e raggiungere Capracotta, fu catturato dagli inglesi e trasferito in un campo di concentramento in India. Tornò a casa in seguito a scambio di prigionieri feriti e si guardò bene dal tornare in divisa. Zio Giovanni Falcone (Sgamminǝ), anche lui in Africa, di fronte all’alternativa o collaborazione o campo di concentramento, scelse di arruolarsi nei servizi sedentari inglesi e tornò a Capracotta a guerra finita. Zio Carmine Fiadino (Pǝtracca), dopo la sua campagna di Russia, fu rimpatriato per avvicendamento e trasferito a Casal Monferrato; tentò di fuggire dopo l’armistizio, ma fu catturato dai tedeschi e trasferito in un campo di prigionia nel nord della Bretagna. Accettò di lavorare nei campi e riuscì a fuggire. Scelse di entrare nelle formazioni partigiane di De Gaulle; tornò a guerra finita, parlava correntemente il francese e mi mostrava con orgoglio la sua carta d’identità francese, che conservò per anni. Zio Giuseppe Di Nucci (Curdischǝ), di stanza nel Dodecanneso, fu catturato dai tedeschi; trasferito in Grecia, accettò di collaborare e diventò un inserviente di cucina; durante uno scontro tra tedeschi e partigiani greci, fuggì e si arruolò tra quest’ultimi; poi risalendo la Iugoslavia militò sotto i partigiani di Tito; infine tornò a Capracotta. Zio Loreto Di Nucci (Curdischǝ) finanziere e decorato con medaglia di bronzo, di stanza nei Balcani riuscì a sfuggire alla cattura e impiegò mesi per tornare a casa. Zio Amerigo Sozio (Cicchǝmuórtǝ), marito di Mariangela Carnevale, sorella di mia nonna, nonostante fosse cittadino americano fu arruolato e inviato in Sicilia e dopo l’otto settembre fuggì; con mezzi di fortuna tornò a casa. I militari capracottesi che furono catturati dai tedeschi e costretti a collaborare, tentarono in tutti i modi di comunicare con le famiglie rimaste a Capracotta. Le loro lettere, se arrivavano, erano soggette ad una ferrea censura. Se ne accorse anche Nicola Colangelo (Masciǝllónǝ) che in Francia fu catturato dai tedeschi e costretto a collaborare; non potendo scrivere che moriva di fame, optò per un riferimento che sarebbe sfuggito alla censura e avrebbe dovuto far capire ai suoi che la fame era una sua fedele compagna; «… e ógnǝ nòttǝ mɘ sònnǝ la figlia dǝ Pasqualinǝ rǝ furnarǝ». La lettera arrivò intonsa, i familiari capirono che era vivo e che si era innamorato della figlia di Pasqualino Di Tella, per l’appunto fornaio nel Rione di San Giovanni. Il mistero venne chiarito al suo ritorno e specificò che il suo incubo notturno erano le pagnotte di pane fresco e saporito che uscivano dal forno! Molti capracottesi tornarono; altri invece non furono così fortunati, perché o vissero stentatamente fine alla fine della guerra internati in campi di concentramento o come Paolo Francesco Potena che fu impunemente giustiziato in Germania insieme a 207 militari italiani, di notte, qualche giorno prima dell’arrivo delle truppe americane che avanzavano liberando tutti.
I tedeschi nel frattempo occuparono Capracotta e nei primi tempi ricevettero i viveri normalmente, poi cominciarono le razzie di mucche, di pecore, di capre, di maiali e di galline. Chiaramente la popolazione non gradiva le razzie e tutti cercarono di nascondere i propri animali, sia in grotte e chi in stalle improvvisate. Ad esempio Giovanni Di Nucci, che allora aveva in affitto la masseria di «dun Salvatórǝ» e 200 ettari di prato dei D’Alena, pur di evitare la cattura e la macellazione delle sue preziose mucche, tolse loro tutti i collari e i campanacci e le liberò dentro il bosco di Monte Capraro.
Le mucche in libertà si facevano avvicinare solo dal padrone e così Giovanni le recuperò, cessato che fu il pericolo.
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