Capracotta Capitale d’Italia

Panorama di Capracotta. Foto: Paolo Dell'Armi

Panorama di Capracotta. Foto: Paolo Dell’Armi

Il giorno dopo sarebbe stato il decimo anniversario della proclamazione di Capracotta a capitale d’Italia. Fervevano dappertutto i preparativi per la festa che avrebbe richiamato paesani (oggi cittadini) da tutto il mondo, come per la Festa dell’8 Settembre.

Ero salito in metropolitana nella stazione “Alla Muntagna”, Sotto al Monte, i vagoni erano pieni come in un qualsiasi giorno feriale e mentre mi accingevo all’uscita per la fermata “Padre Pio”, un numero imprecisato di personaggi, in costume tradizionale (impiegati nel quartiere delle ambasciate alla Fundjone), non sapeva bene se scendere alla prossima o a un’altra fermata, fino a che uno disse: «Noi scendere a Piazza Cacaturo, più vicino ambasciate!».

Così, tra una gomitata e uno spintone, fattomi largo, riuscii a scendere, altrimenti in tutto quel trambusto avrei corso il rischio di arrivare fino al capolinea “Fonte della Gallina”. Era in corso di svolgimento la “Fiera Internazionale della Miccola D.O.P.”: presenti produttori di lenticchie provenienti da tutto il mondo, sbarcati all’aeroporto internazionale “Calzella Carfagna” di Vallesorda, scortati dai bodyguard della Pretagliarda (i migliori d’Italia), perché durante il viaggio ogni tanto qualche cassa spariva! La Fiera si estendeva fino a Santa Lucia: qui c’era la Stazione Centrale che attraverso i suoi binari coordinava, attraverso il centro di eccellenza, le spedizioni in tutta Europa (ormai a Roma Termini c’erano rimasti solo i treni locali e i carri bestiame).

Da questa splendida stazione partiva anche un treno ogni venti minuti diretto al quartiere dei Ministeri allo “Iaccio della Vorraina”, dove tra corriere, auto blu, e cortei presidenziali era tutto un dedalo di vie e piazze da perderci la testa. Mi ero fermato a uno dei bar della stazione per mangiare un panino e assistevo alla seguente discussione tra due signori: «Lo hai assaggiato il Topinanbur?». L’altro risponde: «Sacc’i’. Che c… è quisct tuppimburr? Auoie ze magniam sagne e patane e massera la scapécia».

Mi stavo avviando verso l’Olimpic Center della Guardata (lì dove una volta c’era un semplice campo sportivo) quando, guidata dai bersaglieri a passo di corsa, una lunghissima colonna di militari stava facendo le prove per la parata del giorno dopo e non si poteva interrompere il passaggio. Mi vidi quindi costretto a scendere alla Stazione dei Taxi “Cutturiéglie”, prenderne uno e partendo per l’autostrada al casello dell’Orto Ianiro, dopo aver attraversato i tunnel di Monte Campo, arrivare al casello di Cannavina, uscendo verso i Laghi dell’anitra, dove nel grattacielo più grande di tutti sarei finalmente arrivato al Centro Internazionale di Cultura Capracottese per assistere a un convegno per il decennale di “Capracotta Capitale” ma all’improvviso il taxi sbandò e uscimmo fuori strada.

A questo punto ho aperto gli occhi, mi sentivo il sudore addosso e c’è voluto un po’ di tempo per realizzare che mi trovavo a casa mia, sul letto, appena svegliatomi. Sono andato subito al computer, ho cliccato sul sito web del Comune e, dalle webcam, mi sono assicurato che Capracotta stava ancora lì al suo posto senza aeroporti, ferrovie e autostrade: era stato un brutto sogno, frutto dell’indigestione della sera prima, quando con i compagni del liceo ci eravamo rivisti e a cena non avevamo rinunciato a niente!

Capracotta, anche senza capitale e annessi e connessi, era sempre la stessa: unica e irripetibile!

Paolo Trotta