Ermanno D’Andrea è uno degli imprenditori più importanti e apprezzati del nostro paese; opera nella meccanica di precisione con due aziende: la casa madre a Lainate, in provincia di Milano, e la D’Andrea Molise nata nel 2002 a Castel del Giudice, un borgo di soli 300 abitanti in provincia di Isernia, che produce semilavorati per l’impianto lombardo.
Negli anni si è segnalato per aver dato vita a un progetto imprenditoriale aperto e solidale, incardinato sulla responsabilità sociale dell’impresa, nel solco di una cultura che da Adriano Olivetti ha illuminato la strada della nostra modernità, ma che negli anni si è offuscata, passata al tritacarne di una crisi interminabile e complessa.
All’atto costitutivo della sua azienda, fatta crescere sul genio e sul talento imprenditoriale del padre Marino, ha voluto che nello statuto forse compresa una clausola per la quale una percentuale degli utili dovesse essere devoluta in beneficenza.
Nel 2017, il sindaco di Hannover (città della Germania dove si tiene la più importante fiera mondiale della meccanica), insieme ad alcuni ministri della Bassa Sassonia, gli ha consegnato le chiavi della città per i 60 anni della sua presenza continua alla manifestazione.
Nel 2018 l’UCIMU, l’Associazione dei costruttori italiani di macchine utensili, robot e automazione, lo hai insignito del premio “Maestro della Meccanica” amato e ambito dagli imprenditori del settore di tutt’Italia.
L’anno scorso il comune di Lainate, dove D’Andrea finanzia l’associazione La-Fra che opera a beneficio delle persone disabili e delle loro famiglie, gli ha attribuito il “Premio Galatea per la responsabilità sociale dell’impresa oltre che per la sua personale”; così si legge nella motivazione del prestigioso riconoscimento.
Ancora in Lombardia, a Tradate, dando corso alla sua passione per l’astronomia, collabora con l’osservatorio astronomico per la divulgazione della cultura scientifica.
Ermanno D’Andrea ha scavato pozzi d’acqua e ha consentito la nascita di 13 scuole in Guinea Bissau, permettendo a circa 10.000 ragazzi africani di accedere all’istruzione di ogni ordine e grado.
Ha finanziato una casa di riposo nel suo comune d’origine, Capracotta (Is) e a Castel del Giudice, a pochi chilometri e al confine con l’Abruzzo dove, insieme al sindaco Lino Gentile, ha sostenuto un progetto di rigenerazione territoriale diventato punto di riferimento in Italia.
Fra gli altri riconoscimenti, Castel del Giudice ha ottenuto il premio “Angelo Vassallo” dedicato al sindaco di Pollica ucciso dalla camorra, il “Cresco award” per la sostenibilità economica del micro modello di sviluppo al quale ha saputo dar vita; il piccolo comune molisano è sede degli Stati Generali delle popolazioni appenniniche organizzati da Slow Food ed è stato individuato dalla Società dei Territorialisti fondata da Alberto Magagni presso l’Università di Firenze, come buona pratica di rigenerazione territoriale e comunitaria.
Il fecondo sodalizio col sindaco di Castel Del Giudice ha favorito la nascita di una public company partecipata dai cittadini del luogo che ha rilevato e rilanciato l’attività della società agricola Melise, che coltiva 35 ettari di frutteto biologico, producendo mele distribuite a gruppi di acquisto solidale di Roma e Napoli, succhi di frutta e marmellate.
Lo Sprar di Castel del Giudice ha accolto quattro famiglie africane che si sono integrate armoniosamente nella comunità locale corroborando il fondamentale progetto di ripopolamento; è stata avviata la coltivazione della pregiata patata viola ed è in corso la selezione del luppolo per la produzione di birra agricola locale.
Inoltre, in collaborazione con l’Università del Molise e con Legambiente, è stato inaugurato un “apiario di comunità” al quale prendono parte attiva 50 cittadini che produrranno miele dopo aver frequentato un intenso corso di formazione.
L’incontro con Enrico Ricci, titolare di un’importante ditta di costruzione di Castel di Sangro, per Ermanno D’Andrea e Lino Gentile è stato il viatico per realizzare il progetto di Borgo Tufi, un albergo diffuso con 150 posti letto, ristorante e centro benessere, nato sul recupero e la riqualificazione delle stalle e dei fienili abbandonati, al limitare del centro storico.
Castel del Giudice, in un ventennio approssimato per difetto, ha dato vita a una rivoluzione garbata, civilissima, democratica. solidale e progettuale, che ha saputo diventare esempio e laboratorio per un territorio assai più ampio del piccolo confine molisano.
L’ho incontrato domenica 26 gennaio a Borgo Tufi, nella sala di disimpegno del “Tartufo Bianco”, il ristorante dell’albergo diffuso, mentre erano in corso le votazioni per il rinnovo dei Consigli Regionali della Calabria e dell’Emilia Romagna.
Un occhio alla televisione che trasmetteva in diretta la partita dell’Inter (è garbatamente interista) e poi un ragionamento fitto, appassionato, in bilico tra crisi della politica, corruzione del linguaggio, in info in forma informazioni e senza coraggio, citofoni e sardine.
“Quest’anno compio 75 anni e 55 li ho dedicati al lavoro; a risolvere problemi, a realizzare progetti con l’aiuto degli straordinari collaboratori che ho incrociato sulla mia strada e dei miei figli Maria Pina, Marino ed Amedeo, col pensiero ad operare anche nel sociale, perché la vita non è un progetto solitario, ma la si realizza insieme agli altri” con umiltà e concretezza, come recita la massima cristiana fondamentale.
“Ho avuto la fortuna di nascere in un ambiente sano, di attingere all’insegnamento degli innumerevoli maestri che ho incontrato; alcuni con nome di prima grandezza, altri sconosciuti che mi hanno colpito per la loro perizia, per la loro quotidiana rettitudine”.
Non fa sfoggio dei suoi clamorosi successi Ermanno D’Andrea; si schermisce con ritegno umanissimo, rifuggendo dall’eclatanza assolutamente motivata che deriva dal suo impegno imprenditoriale, sociale e civile.
“Una cosa però non posso fare a meno di chiedertela…” gli dico quando già si preparava l’ora del ritorno a Campobasso dalla effervescente Castel Del Giudice.
“Dimmi, dimmi pure…”, mi risponde con aria cortese e accondiscendente; “…di Salvini, del capitano leghista che ormai imperversa al sud e anche nel nostro Molise, che cosa ne pensi?”
Abbassa gli occhi in terra e corruga la fronte come per raccogliere e ordinare pensieri che covava da tempo: “Salvini e tracotante; fa strame delle regole e del buon senso con un’improntitudine che imbarazza. La tracotanza infastidisce sempre, ma quando diventa il costume di un uomo di potere, allora è davvero insopportabile. Il precetto fondamentale di Zarathustra imponeva buoni pensieri, buone parole e buone azioni; Salvini pervicacemente, con tracotanza ripeto, si comporta in modo avversario a questi fondamentali insegnamenti morali, e questo per un uomo politico rappresenta un vizio davvero irrisarcibile, è denso di pericolose conseguenze”.
Lo saluto e mi riavvio verso casa accompagnato da un pensiero intenso e civilissimo; mite e fecondo nello stesso tempo.
Antonio Ruggeri
Fonte: Il Bene Comune, Anno XX, Febbraio/Marzo, n.02/03