Un curriculum professionale di primo piano: l’impiego presso l’ufficio stampa del Gabinetto del Sindaco di Roma, la collaborazione con varie testate giornalistiche e agenzie e presso l’ufficio stampa della Provincia di Roma.
Il suo è stato un viaggio dal microcosmo al macrocosmo, dalla “periferia” molisana alla grande città, così è approdata a Roma da ragazza, e qui ha percorso il suo iter professionale, dall’università fino all’attività giornalistica, e umano.
Pina Monaco aveva un sogno da ragazza: fare la neuro-psichiatra perché attratta e incuriosita dai pensieri e dall’agire delle persone e dal loro modo di interagire e di porsi nei confronti del mondo e dei propri simili. Ma le necessità economiche, lavorare e studiare contemporaneamente, hanno orientato la sua scelta verso la sociologia. Il suo maestro è stato Franco Ferrarotti, ma in quegli anni ha conosciuto anche Tullio De Mauro e tanti altri studiosi che hanno stimolato il suo spirito critico e la sua sete di conoscenza.
Altro elemento fondamentale per la sua maturazione è stata l’attività politica, fatta soprattutto di rapporti umani, di esperienze e di emozioni condivise, che le hanno permesso piano piano di imparare a leggere la realtà e a descriverla. I primi tempi sono stati un po’ duri, i suoi maestri, provenendo dal giornalismo praticato e non fatto sui lanci di agenzia, erano rigorosissimi. La sua voglia di avere, sviluppare e coltivare relazioni sociali, la portò alla scelta di lavorare negli uffici stampa, che rappresentano un “ponte” tra i bisogni delle persone e la responsabilità di soddisfarli, un canale di comunicazione tra un “interno” e uno o più “esterni”.
Nel giugno 2005, Pina Monaco ha pubblicato con gli Editori Riuniti, un romanzo autobiografico, intimo, “Due, tre, quattro squilli…” che racconta il ricordo di un legame ancestrale, quello tra madre e figlia. Le donne si sostengono a vicenda in forme diverse e sintetizzano il bisogno atavico del confronto e del dialogo costante tra gli esseri.
L’amore per sua madre, che va oltre il legame fisico con la sua pancia, il dolore per la sua morte e poi l’elaborazione del lutto, l’hanno spinta a scrivere di lei e quindi anche di se stessa, per rendere omaggio alla sua esistenza, piena di dolori e di stenti, ma più in generale ad una generazione fragile eppure granitica.
La vita di Pina e quella di sua madre Maria sono due vite molto diverse, antitetiche: la prima è proiettata verso la grande città, verso impulsi nuovi, verso un contesto sconosciuto, l’altra è ferma nel paese, tra i monti, tra le tradizioni e la cultura di un piccolo paese dell’Alto Molise, ma ciò nonostante è un legame indelebile e viscerale che renderà le due esistenze silenziosamente vicine, anche se non fisicamente.
Pina Monaco a Roma “si sente a casa”, ma un filo rosso attraversa tuttora la sua esistenza: sono le emozioni e la delicata nostalgia per i luoghi frequentati da bambina e per quelli ancora più antichi frequentati da sua madre Maria, che è stata lo stimolo che le ha fatto rivivere e risentire chiaramente sentimenti inespressi, emozioni ed echi impalpabili riconducibili al suono del dialetto, ai colori delle montagne, ai pupazzi di neve e a quei boschi evocativi di storie lontane come quella che ci ha raccontato nel suo libro.
Ida Santilli