La Pezzata. Foto: Matteo Di Rienzo
Sono figlia di un capracottese d’eccezione dal momento che tutta la sua vita è stata ed è un inno alla bellezza, alla storia e alla cultura di questo paese al quale mi ha avvicinata nella speranza che la sua opera di promozione della terra natia non si esaurisse mai ma continuasse attraverso me.
Ciò è assolutamente possibile poiché, dal mio svezzamento in poi, avvenuto con l’ascesa su monte Campo in un giorno sereno e ventoso, è stato, il mio, un progressivo coinvolgimento verso la gente e la natura di questi luoghi. Il senso di appartenenza a quella comunità lo avvertii fin da piccola, quando partecipai alla festa della “Pezzata” in costume tradizionale servendo la tipica pietanza a turisti e paesani.
Un momento di intensa emozione era, poi, quello del giorno dei morti quando in compagnia di mio padre visitavo le tombe di amici e parenti e lo ascoltavo mentre ricordava le loro difficili esistenze, i progressi sociali e culturali che li avevano contraddistinti.
La conoscenza del professor Conti, inoltre, scomparso recentemente, mi aprì ad un mondo intellettualmente vasto, impregnato di cultura, eleganza e garbo che egli elargiva in modo naturale a chiunque lo incontrasse nella sua passeggiata fino alla Pineta.
Il “rito” di raccogliere la legna per l’inverno – lo definisco così per la modalità scientifica con cui si svolgeva – mi riporta alla mente il ricordo di una donna buona e saggia, già avanti negli anni, che porgeva pochi pezzi di legna sulle mie braccia delicate e rosee invitandomi a non sovraccaricarle con un simpatico e perentorio “viavà”. Il ricordo di quella voce, nella casa paterna in via San Giovanni, è ancora oggi motivo di nostalgia e commozione.
Quell’ abitazione che, come tante altre in quel quartiere, si sviluppa in altezza, è stata teatro di mille vicende, di lutti, di gioie, di rumorose occasioni di incontro. Ogni piano, destinato ad un membro del primitivo nucleo familiare, era un mondo a sé. Ogni persona, quelle anziane specialmente, era una storia. Ogni cucina un profumo diverso e gli oggetti sparsi per la casa raccontavano il lavoro e le attitudini degli abitanti e delle loro faticose giornate nei boschi.
A partire dalla visita al santuario della Madonna di Loreto – gesto devoto di chi entra a Capracotta – è un continuo susseguirsi di esperienze olfattive, visive e uditive miste a emozioni intense e momenti di riflessione. Se ti affacci dai lucernari del tetto di casa puoi ammirare il biancore delle cime della Maiella o il blu del mare quando il cielo è terso. E a proposito di natura il mio ricordo va all’indimenticabile professore Domenico Di Nucci. In occasione della presentazione, presso il “Giardino della flora appenninica”, del libro dedicato alla storia della famiglia Carfagna, scritto insieme a mio padre, egli mi invitò ad ammirare il magnifico abete bianco che si stagliava fiero alle nostre spalle. L’albero quasi a voler rivendicare la sua presenza autorevole, il suo diritto ad esserci e a prosperare, ci invitava al rispetto e all’amore per tutti gli esseri viventi.
L’invito non può che essere accolto da chi come me e come voi ha sentito il respiro del vento tra i rami della pineta, ha visto i colori d’autunno nei boschi attorno a Prato Gentile, ha sentito l’odore dei tronchi bagnati di pioggia e il pizzico sulla faccia di quell’aria “fina” come la definisce mio padre.
Clara Dell’Armi