Ricordo che una sera d’inverno, a Capracotta, mentre ero in vacanza a casa dei miei nonni, sedendo sui morbidi cuscini della poltrona della cucina, accanto al fuoco scoppiettante del camino, mi sono stati narrati alcuni episodi dei tempi passati, lontani ormai quasi un secolo, il cui risvolto, a volte tragico, ma a volte anche comico, vale la pena che la tradizione tramandi.
Correva l’anno 1920, la guerra era finita da poco lasciandosi alle spalle uno dei periodi più tristi e difficili da dimenticare della storia di Capracotta.
Agli inizi del secolo scorso non c’erano le comodità di oggi, lo stile di vita era semplice, ma richiedeva molti sacrifici. Mancavano l’abbondanza e la varietà dei cibi che troviamo sulle nostre tavole, i pasti erano più frugali e le portate più contenute. Le rinunce e le ristrettezze erano parecchie e riportano la mia mente ad una vicenda reale che ha del curioso e lascia un lieve sorriso amaro sulle labbra.
La mia bis-nonna si chiamava Maria, la chiamerò nonna Maria, era una donna che viveva agli inizi del secolo scorso (1900). Era lei il perno della famiglia in una società matriarcale che attribuiva alla donna molte responsabilità. A sentire i racconti di chi l’ha conosciuta, doveva essere abile nel gestire la vita domestica. Aveva delle mani forti segnate dalla fatica quotidiana. Dedita alla casa ed alla famiglia, indossava gonne larghe e lunghe che formavano delle leggere onde che accarezzavano il pavimento. Un abito che, caratteristico di quell’epoca, si può trovare ancora esposto in qualche museo di arti e tradizioni popolari. Nonna Maria sul capo portava un ampio fazzoletto scuro che serviva a raccogliere i capelli e che teneva caldo, specialmente, nelle fredde giornate d’inverno.
La vita a Capracotta si intrecciava su rapporti sociali molto intensi, le visite erano solite tra le persone del vicinato ed era facile, in tempi di carestia e miseria, rivolgersi ai propri conoscenti per ricevere un po’ di cibo da mettere sotto i denti ed avere qualche parola di conforto.
Bisognava darsi molto da fare per procurarsi le provviste, la terra era una risorsa preziosa che riusciva a dare un po’ di sostentamento. La parte più pesante del lavoro veniva lasciata alla forza maschile, mentre le donne, dedite principalmente alla casa, si dedicavano alla raccolta dei prodotti giunti al punto di maturazione. Il lavoro segnava le mani ed anche il viso di chi, chino sotto il calore del sole, si dedicava quotidianamente alla terra con gesti lenti e faticosi che scandivano un ritmo di vita che rimane il ricordo di un tempo lontano.
Così la vita anche per nonna Maria aveva i suoi lati meno dolci e la miseria, a volte, contribuiva a renderli aspri. Organizzare la vita di famiglia richiedeva impegno, come seguire l’educazione e la crescita dei figli. I divertimenti erano pochi ed i bambini si dovevano accontentare di piccoli passatempi inventati sul momento per movimentare le ore pomeridiane. Si faceva a gara per vedere chi tirava il proprio sassolino più lontano, oppure si saltava a corda, oppure ancora, le bambine si divertivano a creare le bambole con quello che riuscivano a trovare per terra, anche piccoli sassi.
All’ora di pranzo come a quella di cena la tavola apparecchiata era accompagnata, specialmente nelle giornate d’inverno, dal calore del camino acceso, le cui scintille formavano tante piccole luci che si indirizzavano velocemente verso l’alto. La legna, accatastata in una cesta, accanto al focolare, emanava un intenso odore di bosco e su alcuni rami si trovavano ancora pezzi di muschio che vi si erano attaccati, formando un morbido ed elegante mantello di velluto.
Allora non c’era la televisione che informava sui principali avvenimenti del giorno, ma il chiacchiericcio del buon vicinato era efficiente, quasi come i moderni canali televisivi, per riferire le notizie locali. Si veniva subito a sapere se la raccolta delle lenticchie di comare Santina era stata abbondante, oppure se la vacca grassa di zio Pietro aveva partorito il vitello od ancora quanta farina di grano donna Lena aveva prodotto in quella stagione.
Una signora che abitava nelle vicinanze della casa di nonna Maria, Nella (nome di fantasia), era solita farle visita ogni sera, e verso l’ora di cena, puntualmente bussava alla porta di casa, sapendo che qualcosa già bolliva in pentola e trovando la tavola apparecchiata. Superata la soglia di casa, Nella entrava, parlava un po’ con nonna Maria e tra una chiacchiera e l’altra, prima di andare via, recuperava delle provviste da portare alla sua famiglia: un po’ di pane oppure una manciata di patate od ancora, un pezzo di formaggio che riponeva nelle ampie tasche della sua lunga gonna, avvolgendo tutto in un foglio di carta recuperato da nonna Maria nella credenza.
Nella ripeteva la scena ogni sera e, quando si avvicinava l’ora di cena, nonna Maria, l’attendeva puntuale come un orologio svizzero. Erano gesti abituali, specialmente tra vicini che si dividono il cibo e si conoscono da lunga data.
Fu una sera d’inverno, però, quando accadde un episodio curioso che avrebbe cambiato questi buoni rapporti. Nella, aveva bussato, come solito, all’uscio della porta di nonna Maria, per farle visita prima della cena. Nonna Maria, avendola vista arrivare da dietro la tenda beige, ricamata ad uncinetto, della finestra della cucina e, avendo già messo a cuocere sul camino la pizza di granone (la pizza randign), tipico piatto locale, il cui impasto era fatto di farina di mais, sale, olio extravergine di oliva, acqua calda, il cui odore invitante si spargeva nella stanza, in un men che non si dica, la tolse via dal fuoco, nascondendola sotto la sua ampia gonna lunga.
Nel frattempo, Nella aveva raggiunto l’uscio di casa e dopo aver bussato era entrata in cucina.
Iniziò a parlare del più e del meno, della giornata appena conclusa e di cosa nonna Maria stesse preparando per la cena, sentendo il buon odore di cucina e trovando la tavola già apparecchiata che la invogliava a sedere. Passava da un argomento all’altro con la disinvoltura di cui era propria, la chiacchiera di certo non le mancava, incurante, però, dell’ora già tarda e delle condizioni del tempo che promettevano poco di buono.
Nonna Maria che sotto la gonna aveva nascosto la pizza di granturco, non poteva più resistere per il calore che emanava e per la sgradevole sensazione di bruciore che avvertiva sulle gambe. Così cercando di arginare il fiume di parole di Nella, tentava di metterle fretta facendole dei lievi cenni ed indicandole le cattive condizioni del tempo, disse: “Sciocca e maltiemp fa, alla casa dell’iarr è mal a’ sta’!!” Però, come si è soliti dire, peggio che parlare ad un sordo, Nella non ne voleva proprio sapere di andar via. Nonna Maria, allora, non potendo più resistere per il caldo che arrivava dalla pizza, ad un tratto alzò la gonna della sua veste facendo scoprire la stessa pizza di granone.
Si può immaginare l’imbarazzo che si creò in casa in un attimo e, da quello che era sempre stato un luogo ospitale, per Nella era diventato solo un luogo da cui era meglio andar via. Allora capite le intenzioni, ed un po’ seccata, si rivolse a nonna Maria, parlandole in dialetto, con una frase che mi sembra doveroso riportare: “Figlia meja, t’ vuò coc’ l’ coss’, p’n m da’ nu ‘ccon d’ pizza!!”. Non aggiunse altro, ma in un attimo e, più veloce di una saetta, corse verso la porta di casa ed uscì.
E’ facile prevedere quali furono le conseguenze di questa vicenda narratami da mia nonna. Infatti l’episodio mi è sembrato curioso e divertente, lasciandomi pensare come, in tempi di miseria, quando il cibo scarseggiava, era più solito nascondere quel poco di cui si disponeva che offrirlo agli altri, incuranti però del fatto che, a volte, le vicende possono assumere dei risvolti, insoliti ed anche bizzarri, che fanno sorridere chi li racconta.
Così penso che tramandare questo aneddoto, accaduto tanto tempo fa, sia un segno di rispetto nei confronti della tradizione orale che mi è stata trasmessa e degli affetti che mi continuano a legare a Capracotta.
Marinella Sammarone
Fonte: AA.VV, I racconti di Capracotta, Tipolitografia Cicchetti, Isernia, 2011