Cimentandomi, come faccio abitualmente, con il quiz fotografico a risposta multipla della famosa rivista di Medicina “New England Journal of Medicine” (N.E.J.M.) (1), non pensavo di imbattermi in una immagine che ritenevo ormai anacronistica; non ho avuto comunque esitazione nella risposta perché si trattava di un caso di cosiddetto “Eritema da fuoco” (“Eritema ab igne”) di cui rammentavo benissimo i caratteri, sebbene meno eclatanti, che avevano attirato la mia attenzione a Capracotta già tanti anni fa; di quest’affezione, che si osservava più frequentemente nelle donne, mi è tornato subito in mente il nome in dialetto, “Vəsciòlə”: un singolare eritema dovuto a prolungata esposizione al calore, naturalmente sotto la soglia dell’ustione, con evidenza maggiore o minore e di solito con modesti sintomi locali.
Descritta per la prima volta nel 1909 dal dermatologo inglese George Adamson con il nome di “Livedo reticolare pigmentata” (marezzatura livida e nerastra) e, ancor prima in Germania come “Melanosi da calore”, è un’affezione cutanea abbastanza reversibile nelle fasi iniziali, ma che tende a cronicizzarsi per il lento accumulo, nel reticolo che la caratterizza, di piccoli depositi scuri (melanotici appunto) di emosiderina derivante dai globuli rossi.
A Capracotta se ne conosceva benissimo e da tempo la causa, correlata alla necessità di difendersi dal freddo mediante il fuoco dei caminetti poiché non esisteva alcun’altra alternativa e vale la pena di ricordare che, nella maggior parte delle case, oltre a rappresentare l’unica modalità di cottura per i cibi, il fuoco non veniva praticamente mai spento; sebbene infatti possa apparire paradossale, a sera la brace ancora rovente veniva ricoperta di cenere, il che assicurava una rapida ed economica modalità di riaccensione il giorno successivo; era diffusa consuetudine, inoltre, tenere sul fuoco un caldaio di rame stagnato, la “callara”, in modo che fosse sempre disponibile un po’ d’acqua calda e ricordo che la stessa cenere veniva utilizzata come efficace ed ecologico detersivo per il bucato.
In ogni caso, il caminetto elargiva il suo tepore solo standogli vicino perché mancava qualsiasi sistema di riscaldamento negli altri ambienti della casa tranne quello, sempre ottenuto con la brace, dello storico scaldino per i letti, detto “monachə” (monaco) o di un “vrasciérə” (braciere) (2): quest’ultimo non scevro dal rischio di pericolose esalazioni di ossido di carbonio.
La localizzazione e l’estensione delle manifestazioni cutanee ne indicavano l’agente causale giacché la malattia riguardava in prevalenza la superficie estensoria delle gambe, in sede pretibiale o, più raramente, le cosce; queste ultime corrispondevano, infatti, alle aree direttamente ed a lungo esposte al calore, vera e propria “noxa patogena” esaltata, per di più, dalla necessità di utilizzare una sedia molto bassa o addirittura un apposito sgabello, la cosiddetta “pətrélla”. Non sarebbe stato possibile, altrimenti, nemmeno sorvegliare la cottura dei cibi nei classici, appositi recipienti tradizionali: ad esempio la “pəgniata” (un pentolino di creta), o la “sartacəna” (una padella) (2); molto spesso davanti al fuoco, on la brace di sotto, c’era r’“pulzənèttə”, un tegamino rialzato con tre piedi e un lungo manico di ferro per la cottura del sugo, dei fagioli o di altri cibi in quantità contenuta.
Da vecchio medico, riflettevo alla correttezza della parola dialettale “vɘsciòlɘ” che mi pareva quanto meno impropria perché significa letteralmente “vescicole” sierose della pelle, proprio come in una ustione vera e propria; ho appreso invece che non è così perché nel passato remoto sono stati descritti casi, pur molto iniziali, che presentavano già una spiccata componente bollosa: le vɘsciòlɘ ”appunto, un termine certamente utilizzato da secoli a Capracotta.
Continuavo a non comprendere le ragioni per cui una rivista così prestigiosa come il N.E.J.M., nel 2022 avesse dedicato una rubrica a questa singolare, certamente arcaica condizione e ho voluto, perciò, consultare la letteratura più recente; con mia grande sorpresa, a riprova del fatto che non è mai troppo tardi per imparare, ho scoperto che attualmente è in crescita esponenziale il numero di persone che la manifestano tuttora: di solito in altri distretti corporei.
Si tratta infatti di soggetti giovani per cui la noxa patogena risiede addirittura nell’uso improprio di moderni computer portatili, i cosiddetti “laptop” che, tenuti prolungatamente sulle gambe, comportano una particolare localizzazione dell’eritema, alla radice delle cosce, verso l’addome (3); si è ottenuta così una diversa interpretazione patogenetica della malattia che attribuisce importanza determinante alle radiazioni infrarosse prodotte da molti dispositivi elettrici ed elettronici e sono stati sperimentati solo di recente, senza grande successo, alcuni trattamenti farmacologici. Cosa inoltre assai preoccupante, è stata dimostrata la possibilità che questi agenti fisici siano teoricamente responsabili, per il loro impatto sulla regione inguino-scrotale, anche di casi di sterilità maschile; così, sembra proprio che resti valida anche in medicina, nonostante i suoi innegabili progressi, la massima che dice: “nulla di nuovo…sotto il sole” : il che rafforza il mio convincimento che sia molto istruttiva, specie per i colleghi più giovani, la sua millenaria storia, talora incredibilmente racchiusa in un dimenticato vocabolo dialettale.
Intanto non posso che rinnovare il mio commosso pensiero di riconoscenza alle tante, valorose donne di Capracotta, veri “angeli custodi” della casa”, che non si sono mai sottratte alla loro missione accettandone ogni tipo di conseguenza: anche a prezzo del danno, non solo estetico e psicologico, provocato dall’ eritema da fuoco e, per di più, nel disagio di un ambiente così difficile dal punto di vista climatico; e pensare che ora siamo tutti spaventati delle pur negative previsioni in tema di risorse energetiche per il riscaldamento domestico!
Concludendo, potrebbe persino essere modificata la stessa denominazione ufficiale della malattia che ho ricordato, più rassomigliante forse ai comuni eritemi solari, ma che mantiene intatta la sua autonomia nosografica: ed è superfluo sottolineare che, anche attualmente, sono molte le persone che si ammalano per innocente “mania terapeutica” o, peggio ancora, perché affette da un vero disturbo psichiatrico di dipendenza dal calore.
Intanto, da inguaribile “nostalgico” non mi vergogno di confessare che mi commuove moltissimo il ricordo, persino fonetico, dell’antico termine attribuito dai capracottesi a quello che io definirei “Eritema da caminetto”: “Lə Vəsciolə”.
Aldo Trotta
BIBLIOGRAFIA:
- “NEW ENGLAND JOURNAL OF MEDICINE – “Case challenge” – 29 settembre 2022;
- “CHE M’ACCUNDE?”- LEMMI E MOTTI DELLA PARLATA CAPRACOTTESE – Editore: Associazione “Amici di Capracotta”
- “A CLINICAL CASE OF LAPTOP-GENERATED ERYTHEMA AB IGNE” – Eur J Rheumatol 2021; 8: 117-118