Processione della Madonna di Loreto dell’anno 1937. Rielaborazione grafica: Amici di Capracotta
La notizia dell’armistizio si diffuse anche a Capracotta nel pomeriggio dell’8 settembre e la popolazione festeggiò l’avvenimento ripristinando in via del tutto eccezionale la festa della Madonna che dal 1937 era stata sospesa in attesa di tempi migliori.
Fu portata in processione la Madonna per le strade del paese; tutti pensavano che la guerra fosse finita; il giorno dopo invece, quando tutta la popolazione era nei pressi della chiesetta della Madonna, si sparse la voce che stavano per arrivare i tedeschi ed un’ondata di panico si impadronì della folla.
I veri problemi a Capracotta però cominciarono dopo qualche giorno: non appena in paese i tedeschi furono abbastanza numerosi, cominciarono le prime requisizioni, i bandi, le prime catture di civili e il loro utilizzo come bassa manovalanza; tutti gli adulti scampati cominciarono a nascondersi nei boschi, nelle grotte e dovunque fosse possibile, sempre vigili e attenti a captare il primo rumore sospetto.
«Èssǝ rǝ tǝdischǝ»… (Stanno venendo i tedeschi) era questo l’accorato allarme che ogni tanto risuonava per le strade e per le campagne di Capracotta. Parecchi giovani capracottesi furono catturati e costretti a seguire le truppe tedesche nella loro ritirata dopo che rasero quasi completamente al suolo tanti paesi tra cui Capracotta.
Tra i catturati si ricordano ancora oggi Anduninǝ e Ughǝ Ianirǝ (Antonino e Ugo Ianiro), Dunatǝ dǝ Cicciǝ Tatucciǝ (Donato Pettinicchio), Ndógnǝ e Mǝngucciǝ dǝ Ciǝcciónǝ (Antonio e Domenico De Renzis), Pasqualinǝ Tagliacòcciǝ (Pasqualino Potena).
A quanto mi risulta tutti in un modo o nell’altro tornarono sani e salvi a Capracotta.
Questo motto si riferisce ad un singolare evento accaduto mentre zappavano per creare una trincea; un aereo alleato sorvolò la zona e sganciò su di loro alcune bombe; nel fuggi fuggi generale, per proteggersi dalle schegge Dunatǝ dǝ Cicciǝ Tatucciǝ (Donato Pettinicchio) non trovò altro che infilare la testa in una tina di rame, di quelle con una rastrematura centrale e così conciato e disteso per terra, attese che passasse il pericolo.
Non fu per fortuna colpito dalle schegge ma passato il pericolo, si alzò in piedi e cercò di liberarsi dall’ingombrante protezione che a mala pena gli consentiva di respirare. Ma nonostante i suoi sforzi, non riuscì più a sfilare la tina e chiese aiuto ai compagni capracottesi.
Ad ogni tentativo rimbombavano le sue urla di dolore e dopo varie prove Ndógnǝ dǝ Ciǝcciónǝ (Antonio De Renzis) esclamò: «Sià chǝ vulémǝ fà? Tagliamǝiǝ la còccia!» (sapete che vogliamo fare? Tagliamogli la testa!).
Per liberare Donato fu necessario tagliare delicatamente la tina con una cesoia.
Domenico Di Nucci- Mario Fiadino
Fonte: D. Di Nucci (a cura di), E mó vè maiiǝ auannǝ! Pillole di saggezza popolare capracottese, Amici di Capracotta, Pixartprinting, 2020